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Alla fine è arrivata anche la nuova legge elettorale

Written by Lorenzo Gaiani.

Lorenzo Gaiani
Articolo pubblicato sul magazine delle Acli.

La riforma della legge elettorale costituisce il tormentone di tutta la XVII legislatura repubblicana, a partire, si potrebbe dire, dal suo inizio, dalle elezioni del febbraio 2013 quando si vide che il cosiddetto Porcellum voluto da Silvio Berlusconi nel 2005 e realizzato da Roberto Calderoli era incapace di produrre una maggioranza omogenea nelle due Camere, e ancor di più quando la Corte costituzionale nel dicembre di quello stesso anno ne dichiarò l’illegittimità per una pluralità di motivi, senza però richiamare in vita la legge precedente (quella approvata nel 1993 dopo i referendum “Segni” e materialmente redatta da Sergio Mattarella) ma disegnando un modello ibrido che richiedeva – come suggeriva la Consulta nella stessa sentenza – di essere riscritta da un Parlamento la cui legittimità era comunque fuori dubbio.
La strada della riforma venne intrapresa parallelamente al progetto di revisione della seconda parte della Costituzione, che superasse finalmente l’anomalia istituzionale del bicameralismo paritario conferendo ad una sola Camera il potere di dare e togliere la fiducia ai Governi. Per questo la legge elettorale voluta da Matteo Renzi – il cosiddetto “Italicum” – che introduceva il principio del ballottaggio a livello nazionale per l’assegnazione del premio di maggioranza, era calibrata unicamente sulla Camera dei Deputati, mentre il Senato sarebbe dovuto diventare una Camera delle Regioni eletta in secondo grado dai consiglieri regionali e dai Sindaci delle varie Regioni. Il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, come si sa, sconfisse questo progetto di riforma e qualche settimana dopo la Corte costituzionale (che è molto più sensibile all’attualità politica di quanto qualche anima bella voglia far credere) dichiarò incostituzionali alcuni aspetti salienti dell’Italicum, creando così una situazione di disparità dei modelli elettorali delle due Camere.
A questo punto sorgeva l’interrogativo se veramente una democrazia avanzata e moderna, uno degli Stati fondatori della UE, avrebbe dovuto andare al voto con una legge elettorale di risulta derivante dai tagli imposti dall’autorità giudiziaria. Ci fu un tentativo di trovare una larga intesa (PD, Movimento Cinquestelle, Forza Italia e Lega Nord) per arrivare a definire una legge elettorale di tipo tedesco, ad impianto proporzionale con sbarramento al 5%, ma cozzò contro l’incapacità dei parlamentari grillini di svolgere un ruolo politico che non fosse meramente distruttivo.
In extremis il Partito Democratico ha raggiunto un accordo con forzitalisti e leghisti che ha richiamato in vita un progetto elaborato dal Capogruppo democratico alla Camera Ettore Rosato ( da cui deriva l’orrendo nome di “Rosatellum” dato alla legge da giornalisti di scarse idee e di abbondante cattivo gusto) che è stato approvato dalle due Camere anche grazie alla scelta del Governo Gentiloni di apporre la questione di fiducia per ridurre al minimo i rischi derivanti da emendamenti stravolgenti votati a scrutinio segreto (laddove l’anomalia non è il voto di fiducia, ma l’abuso del voto segreto su questioni non inerenti le persone, strumento prediletto da chi non ama fare battaglie politiche a viso aperto, come del resto si è visto nella ridicola “dichiarazione d’indipendenza” catalana votata a scrutinio segreto da padri costituenti tutt’altro che intrepidi di fronte alle prevedibili ritorsioni penali della magistratura spagnola).
Che cosa prevede la nuova legge elettorale? In sintesi, alla Camera ci saranno 232 collegi uninominali, in cui ogni partito o coalizione presenterà un solo candidato. Il candidato eletto sarà quello che prenderà almeno un voto in più degli altri nel collegio. Per l’assegnazione degli altri 386 seggi si userà un metodo proporzionale: ogni partito o coalizione presenterà una lista di candidati e si conteranno i voti ricevuti da ogni lista; ogni partito o coalizione eleggerà quindi un numero di parlamentari proporzionale ai voti ottenuti. Nelle circoscrizioni estere saranno assegnati altri 12 seggi.
Al Senato le cose funzioneranno in modo molto simile: i collegi uninominali saranno 102, i collegi del proporzionale 207, e i seggi degli eletti all’estero 6. Non sarà possibile il voto disgiunto, e ognuno potrà esprimere un solo voto: il voto andrà al candidato del suo collegio (per la quota maggioritaria) e alle lista che lo appoggia (per la quota proporzionale). Sarà invece annullato se dovesse essere barrata la casella di un candidato al collegio uninominale e la casella di una lista diversa da quelle che lo appoggiano.
I partiti dovranno ottenere almeno il 3 per cento dei voti su base nazionale. Se i partiti si presentano alleati in una coalizione, quest’ultima dovrà raggiungere almeno il 10 per cento dei voti su base nazionale. I partiti che non raggiungono questa soglia non eleggeranno alcun parlamentare. Sono consentite le pluricandidature, cioè sarà possibile presentarsi in diversi collegi, ma solo nella quota proporzionale: ogni candidato potrà presentarsi in cinque collegi proporzionali differenti. Ci si può candidare in un unico collegio uninominale, ma si può essere contemporaneamente candidati in cinque collegi proporzionali.
I principali vantaggi della nuova legge elettorale sono che viene uniformato il metodo di selezione della Camera e del Senato, che con i collegi uninominali e le liste brevi ricostruisce un vero rapporto fra candidati e territorio e, soprattutto, che è il frutto di un voto politico del Parlamento derivante da un accordo democratico fra partiti e non l’esito di tagli imposti dall’autorità giudiziaria.
I principali svantaggi sono che non è una legge compiutamente maggioritaria, che il 3% di quorum per l’accesso al riparto dei seggi è troppo basso, che non c’è nessuna garanzia sulla scelta del Governo da parte degli elettori e, soprattutto , il persistere di un bicameralismo paritario che non ha paragoni nel resto d’Europa e che fu una scelta fatta dai costituenti per ragioni politiche contingenti derivanti dal clima incipiente della guerra fredda.
Si dice che il mix di collegi uninominali e liste bloccate dia troppo potere alla dirigenza dei partiti politici nella selezione dei candidati: ci si dimentica però che il compito dei partiti politici è per l’appunto quello della selezione della classe dirigente, e che il problema principale è quello di rendere più democratiche e trasparenti le procedure interne dei partiti stessi. Nello stesso tempo, si tende a dimenticare anche che il voto di preferenza – altra peculiarità italiana – è, da sempre una delle maggiori fonti di corruzione della politica e della lievitazione dei suoi costi (le due cose sono evidentemente legate).
Quello che non è più accettabile è il malvezzo di etichettare come incostituzionali tout court le proposte di legge che non piacciono, invece di contrastarle nel merito, trasformando così i dibattiti parlamentari in lunghe sessioni giudiziarie di fronte alla Corte costituzionale condotte da avvocati improvvisati e maldestri. A ciò, occorre dirlo, hanno dato un contributo in negativo anche molti docenti di diritto costituzionale ed ex Presidenti e giudici della Consulta che, prima e dopo il referendum del 4 dicembre, hanno preteso rivestire del manto della sacralità costituzionale quelle che, alla fine, erano solo le loro opinioni personali. Va detto, a parziale discarico, che in ogni docente di diritto costituzionale si cela un aspirante giudice costituzionale, come del resto in ogni giudice costituzionale si cela un aspirante Ministro della Giustizia, o Presidente di una delle due Camere, o Presidente del Consiglio o addirittura Capo dello Stato, venendo a costituire quella “riserva della Repubblica “ che spesso è il sinonimo del più piatto continuismo e conservatorismo.
Se la nuova legge elettorale può iniziare a riconferire alla politica la sua supremazia contro le invadenze giurisdizionali è da salutare come un fatto in se stesso positivo, che va ben al di là dei contenuti della legge stessa.