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Macron, l’Europa e la Francia

Written by Lorenzo Gaiani.

Lorenzo Gaiani
Articolo pubblicato dalle Acli.

La vittoria di Emmanuel Macron alle elezioni presidenziali francesi segna effettivamente una rottura nel modello politico della V Repubblica francese, così come si era strutturata a partire dalle innovazioni costituzionali ispirate da Charles De Gaulle. In effetti, l’articolazione del “campo repubblicano” (quello che una volta in Italia si sarebbe detto “arco costituzionale”) prevedeva una sorta di “quadriglia bipolare”, con una destra rappresentata dal partito gollista (che ha cambiato più volte nome per approdare a quello odierno di Repubblicani) e dalla galassia centrista delle forze liberali e democratico cristiane, ed una sinistra imperniata su di un rapporto non sempre facile fra il Partito socialista ed il Partito comunista con i rispettivi satelliti.
Il deludente quinquennato presidenziale e di governo di François Hollande e del Partito socialista, insieme al discredito della destra tradizionale divisa da intrighi, personalismi e spregiudicati giochi di potere, insieme alla minaccia terroristica che aveva per due volte violato il cuore stesso della Nazione, Parigi, sembrava avere spianato la strada all’aggressivo populismo del Fronte Nazionale che, sotto la guida di Marine Le Pen, figlia del fondatore del partito, pareva in grado di uscire dal ghetto in cui era stato a lungo confinato a causa delle sue evidenti ascendenze fasciste, in cui si mescolavano ricordi dell’Action Française, del regime di Vichy e dell’OAS, l’organizzazione terroristica di estrema destra che si oppose con le armi alla decisione di De Gaulle di abbandonare l’Algeria.
La materia del contendere diventava così il rapporto fra la Francia e l’Unione europea, soprattutto all’indomani dell’inaspettato voto con cui la popolazione del Regno Unito aveva deciso a stretta maggioranza di uscire dall’UE: dopo la Brexit, Marine Le Pen ed i suoi sostenitori avevano agitato il fantasma della Frexit, ossia l’uscita della Francia contemporaneamente dall’Unione e dall’euro, secondo il sogno di tutti quei soggetti politici che vengono definiti genericamente “populisti” e che di fatto rappresentano ideologie reazionarie e regressive (in Italia, nonostante talune differenze, sia la Lega Nord sia i Cinquestelle sono espressioni di questa tipologia) basate sulla nostalgia di un passato idealizzato.
A fronte di ciò, la vittoria di un leader dichiaratamente, anzi appassionatamente europeista come Emmanuel Macron, che nel giro di un anno, dopo essere uscito dal Governo socialista di Manuel Valls, dove ricopriva l’incarico cruciale di Ministro dell’Economia, ha fondato un suo movimento politico ed è riuscito ad arrivare in testa al primo turno delle presidenziali per poi insediarsi trionfalmente all’Eliseo, sembra quasi un miracolo, ma forse è semplicemente un riflesso protettivo, quel buon senso che permette alle persone, ed anche ai popoli, di arrestarsi sull’orlo del baratro.
L’Europa è criticabile? Certo, come no: più volte si sono deplorate le rigidità economiche, le regolamentazioni ossessive, le disparità fiscali, la cecità di fronte al fenomeno della migrazione dal Terzo Mondo che ha esposto in prima fila Paesi fragili come l’Italia e la Grecia. E tuttavia, in se stessa l’Europa è e rimane un grande progetto politico che ha permesso, ad esempio, che il nostro Continente – che è stato il teatro principale di due devastanti guerre mondiali – viva da settant’anni in condizioni di pace, e che in ogni caso esso rappresenti un’oasi di prosperità e di tutele sociali che fungono da richiamo per chi si lascia alle spalle situazioni politiche e sociali ben più drammatiche per non dire tragiche.
A fronte di ciò, e pur con tutti i problemi che nessuno nega (compreso Macron, che ha avanzato numerose riserve sul funzionamento dell’Unione), i sogni di chi vorrebbe tornare alle frontiere, ai dazi, alle monete nazionali, se possono sembrare appaganti sul breve periodo non possono far dimenticare che, alla lunga, questi metodi generano squilibri nei rapporti fra le Nazioni, i quali a loro volta generano guerre commerciali da cui originano le guerre vere e proprie, perché la logica del nazionalismo, in se stessa, è una logica di sopraffazione e di guerra. Non è un caso, d’altro canto, che il messaggio prevalente dei populisti sia un messaggio di chiusura, di diffidenza, di xenofobia, spesso di rifiuto del sapere scientifico (si pensi all’incredibile controversia sui vaccini nel nostro Paese, o al credito dato a rimedi fasulli tipo Stamina) e di ogni tipo di competenza.
Tutto ciò viene spacciato come sano rifiuto del “popolo” verso le élite, ed in effetti dà da pensare che i migliori risultati Marine Le Pen li abbia raccolti in ex roccaforti operaie della sinistra ora diventate luoghi di marginalità sociale e disperazione: il fatto è che l’orizzonte di senso dei populisti è imprigionato, da un lato, nella nostalgia di un passato mitico, dall’altro nella riduzione della complessità del mondo contemporaneo – che spesso spaventa – ad una specie di gigantesco complotto finanziario, massonico, satanico, a seconda delle diverse propensioni.
Stando così le cose, è evidente che il clivage politico del futuro correrà sull’asse apertura/chiusura, innovazione/conservazione, che non sostituisce, ma ridefinisce l’asse sinistra/destra, perché la vera sinistra è e rimane quella che non ha paura del futuro, e chi esita troppo a lungo fra un massimalismo con la testa rivolta al passato e un riformismo incerto, come hanno fatto i socialisti francesi, è destinato ad essere spazzato via. I cattolici, poi, dovrebbero rimeditare le parole di papa Francesco per cui “il populismo è cattivo e finisce male, perché significa usare il popolo per fini detestabili”.
E in fondo il successo di Macron è consistito in questo: sfidare il populismo a testa alta, senza concedergli nulla e senza nascondere quello che è, andandone a sfidare gli assiomi assurdi ed indimostrabili che alla fine si ritorcono sul popolo stesso.
Il popolo gli ha creduto, ora deve dimostrare di meritarsi questa fiducia.