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La parola guerra

Written by Walter Veltroni.

Walter Veltroni
Articolo pubblicato da L’Unità.

Il segretario al commercio americano Wilbur Ross non ha esitato ad utilizzare la parola guerra. «Siamo in una guerra commerciale e gli Stati Uniti non si inchineranno più al resto del mondo sul fronte del commercio». L’occasione di queste dichiarazioni è stata la firma di Trump a due decreti presidenziali che si propongono, come ha detto il vigoroso segretario al commercio, «di far passare all’attacco le nostre truppe», nella suddetta guerra.
Pochi giorni fa Trump ha sottoscritto altri provvedimenti volti a smontare, pezzo a pezzo, la politica di Obama, in campo ambientale, cancellando il Clean Power Plansulle restrizioni per le centrali a carbone. Nei giorni scorsi Trump ha provato, senza trovare il consenso del suo partito, di gettare a mare l’Obamacare. Lo ricordo perché qualcuno continua a sostenere che non esistono più destra e sinistra. Trump, senza troppa gentilezza, si preoccupa di ricordarci che non è così.
Dalla guerra commerciale alla guerra vera il passo può non essere troppo lungo. Nella storia dell’uomo i conflitti generati dal protezionismo e dalle politiche dei dazi sono spesso poi sfociati in altro. Solo Papa Francesco, davvero faro in questa notte e in questo caos, ha capito con quali terribili e inediti rischi abbiamo a che fare in questa fase della storia umana. Intanto in Francia il presidente del Consiglio socialista, candidato sconfitto alle primarie, ha dato indicazione di non votare il candidato del Psf.
La realtà è che quel partito sta consumando una ennesima crisi drammatica e non so se sia all’orizzonte un nuovo Mitterrand capace di generare l’ennesima palingenesi. È probabile che, in Francia, i due candidati al ballottaggio non siano espressione di nessuno dei due schieramenti e partiti storici e che, chi vincerà, non abbia una certa maggioranza parlamentare.
In Inghilterra il partito laburista assiste quasi silente alla fine del rapporto tra Gb ed Europa, ciò che fu una delle maggiori innovazioni del new Labour. Ovunque, anche per iniziativa di leader celebrati dalla sinistra più tradizionale, come in Venezuela, si fa strada quella che Ezio Mauro e prima di lui Eduardo Galeano e Pedrag Matvejevic hanno giustamente chiamato “democratura”.
Cioè l’affermarsi di poteri centralizzati e semplificati in sistemi che mantengono l’assetto formale di una democrazia. Lo stesso si può dire per quello che succede in Russia o in Turchia, alle porte dell’Europa. Il mondo sta cambiando, anche nei suoi assetti geopolitici, con una velocità vertiginosa.
Più che non esistere più destra o sinistra rischia di non esistere più la sinistra che reagisce o dissolvendosi nell’indistinto o arroccandosi in un passato che non esiste più. Una sinistra per questo mondo nuovo, rischioso e complesso. Non è questa l’altezza alla quale dovrebbe essere portato il dibattito congressuale del Pd?