Print

Il PD pensi all'Italia

Written by Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli
Articolo pubblicato da Huffington Post.

Si è aperta in questi giorni una discussione importante dopo il voto referendario che rischia di essere segnata da strumentalismi, posizionamenti e polemiche, invece che da una riflessione sul contesto e sulla proposta del PD.
Dal voto referendario e da quello delle scorse amministrative emergono due nodi politici che non possiamo più non approfondire se vogliamo rafforzare il progetto del PD.
Il primo riguarda i mutamenti politici figli delle grandi trasformazioni prodotte dalla crisi, dai fenomeni migratori, determinati dalla implosione di tanti Stati africani, dalle guerre, e dall'aumento delle diseguaglianze anche in Europa.
È evidente che il confronto politico tra destra e sinistra, nonostante restino le differenze e le ricette contrapposte non spiega gli sconvolgimenti politici di questi anni.
E non è più sufficiente neppure la definizione di “populismo” per spiegare il successo di Trump, o la forza conquistata dalla Le Pen e Grillo o la stessa Brexit. In realtà siamo di fronte a movimenti che non hanno tutti una matrice di destra ma che hanno lo stesso carattere: partono dalla critica all'establishment per poi mettere radicalmente in discussione le stesse istituzioni a tutti i livelli. Fondano il proprio messaggio sulla paura e sull'incertezza del futuro: è un messaggio di chiusura, conservazione, resistenza all'innovazione e all'espansione dei diritti sociali e civili. Ha ragione Renzi quando dice che il vero scontro oggi, di fronte alle diseguaglianze e alle inquietudini, è quello tra chi le cavalca e le alimenta e chi, invece, cerca una strada per dare risposte concrete e positive alle persone. E anche per questo l'idea che sta alla base delle spinte alla scissione, quella cioè di ricostruire una forza di sinistra fondata su vecchie categorie e nuove nostalgie è antistorica e dannosa e rischia di affiancare in Italia quel pezzo del quadro politico (Lega e Movimento Cinque Stelle, in particolare) che investe tutto sulla descrizione del Paese come senza speranza e senza futuro e, sulla base di queste argomentazioni, raccoglie tutta la protesta e tutto il disagio per buttarlo contro alle istituzioni, non più solo contro la politica.
Il secondo tema riguarda le condizioni sociali: le diseguaglianze in Italia sono aumentate e c’è un pezzo di questo Paese che stava e continua a star male nonostante la ripresa e le iniziative del Governo su occupazione e redistribuzione. Queste persone non sentendosi incluse nella rappresentazione – comunque, assolutamente reale che abbiamo dato del Paese che grazie alle riforme è ripartito - ha finito per affidarsi alla rabbia e al sentimento di protesta incarnato dalle forze anti-sistema.
In realtà, in questi anni di Governo Renzi, abbiamo ottenuto risultati importanti e prodotto delle positività per il Paese che non dobbiamo rinunciare a raccontare, rivendicando le tante cose fatte con maggiore forza. Ma le riforme approvate non potevano certamente produrre un impatto positivo immediato nella vita quotidiana delle persone, in particolare di quelle che soffrono maggiori difficoltà. Così la narrazione in positivo messa in atto dal Governo ha finito per produrre un cortocircuito con il vissuto di chi non vedeva miglioranti delle proprie condizioni di vita nonostante le riforme e si è generato un sentimento di rabbia verso il Governo che si è poi scaricato nelle urne al referendum costituzionale. Su questo bisogna riflettere, accelerare su tutti gli interventi che intervengono su povertà e diseguaglianze, fare di questi la nostra priorità e farla percepire come tale.
Il risultato negativo al referendum costituzionale, di fatto, ha chiuso la legislatura. Quella in corso doveva essere una legislatura costituente. Gli eletti in Parlamento hanno votato per sei volte la riforma costituzionale (tre volte alla Camera dei Deputati e tre al Senato) che poi è stata bocciata al referendum. Questo significa che oggi quel Parlamento non è più rappresentativo, e dobbiamo prenderne atto. Credo che se si ha a cuore la credibilità delle istituzioni non si possa fare altro che votare al più presto, dimostrare che la rappresentazione di una classe politica autoreferenziale e indifferente all'opinione di chi deve rappresentare è falsa. Chi a questo ragionamento fa prevalere calcoli di bottega, con la speranza che tirando in lungo possa ottenere qualche seggio in più o rientrare in campo, rischia di rafforzare il distacco dei cittadini dalla politica. Credo sia possibile votare presto, sapendo che la possibilità di mettere mano alle leggi elettorali prodotte dalle sentenze della Corte Costituzionale per armonizzarle tra Camera e Senato e per garantire maggiore governabilità dipende dalla volontà politica e non dalla lunghezza dei tempi. Se c'è volontà politica, in Parlamento si può fare una nuova legge in poche settimane e votare prima dell'estate, altrimenti si rischia di dare sponda a chi vuole solo tirare in lungo.
Infine, in questo contesto, l'idea di anticipare il congresso non solo è contraria allo statuto del PD, che prevede che per fare il congresso prima di giugno debba essere sfiduciato il Segretario, ma rischia di diventare l'occasione di un confronto interno tutto autoreferenziale nel momento in cui invece dovremmo parlare al Paese delle tante cose positive fatte dai Governi di questi anni e raccontare come vogliamo proseguire sulla strada delle riforme correggendo ciò che è necessario. È evidente a tutti, da ciò che si vede in questi giorni, che il congresso viene proposto come un regolamento di conti: la cosa che oggi serve meno al Paese e al PD. Giusto discutere e recuperare il coinvolgimento del partito nella costruzione della proposta da fare al Paese ma è sbagliato violare le regole per dare vita a scontri laceranti mentre avremmo bisogno di unire.

Per seguire l'attività del senatore Franco Mirabelli: sito web - pagina facebook