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Le ragioni del sì

Written by Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli
Intervento ad un incontro a Cologno Monzese (video del dibattito).

Sulla campagna referendaria occorrerà coinvolgere le persone nel merito degli argomenti. Oggi, la maggioranza degli italiani non è coinvolta dal referendum e non sa neanche di cosa si parla e magari vorrebbe capire qualcosa sul tema. Il PD sta lentamente facendo giustizia su alcune argomentazioni che hanno avvelenato il clima in questi mesi e si sta entrando nel merito della Riforma Costituzionale.
Dopo le ultime dichiarazioni del Presidente del Consiglio, è chiaro ormai che questo referendum non è sul Governo e non influirà sul futuro del Governo. Ha meno filo da tessere, quindi, chi tenta di trasformare la consultazione in un referendum su Renzi.
Dopo la mozione sulla legge elettorale approvata alla Camera dei Deputati, è evidente anche che in questo referendum non si vota sull’Italicum.
La legge elettorale resta sullo sfondo e si è riaperta la discussione. La mozione proposta dalla maggioranza e approvata afferma che si sono registrate diverse preoccupazioni rispetto all’Italicum e, sulla base di ciò, si decide di discutere nelle sedi opportune le eventuali modifiche.
Inoltre, il quesito referendario è molto chiaro: si dice sì o no a questa riforma costituzionale. Non c’è nessun altra riforma alternativa in campo.
Molte cose contenute in questa riforma erano presenti anche nelle altre proposte di riforma costituzionale avanzate da tutte le forze politiche. L’80% dei parlamentari ha contributo fin dall’inizio a questa riforma, anche perché questa legislatura è iniziata prefiggendosi l’obiettivo delle riforme.
Nel corso dei mesi sono poi successe diverse cose: è stato fatto decadere Berlusconi per la legge Severino, una parte ha deciso di utilizzare il voto al referendum per la riforma costituzionale contro Renzi ma in questa riforma c’è ciò che molti hanno sostenuto per anni e che ora si cerca di realizzare. Questa è una riforma che su molti punti era, quindi, stata auspicata da gran parte del mondo politico. Se vince il no al referendum ci vorranno molti anni prima che si possa riprovare a costruire una riforma della Costituzione e a trovare delle convergenze politiche per farlo.
Per questo, se si voterà sì e passerà questa riforma sarà meglio per il Paese.
Ci sono della ragioni per cui oggi stiamo facendo questa riforma costituzionale.
Vorrei, quindi, ricordare come nasce la riforma.
Con il risultato elettorale con cui si è aperta questa legislatura e con la difficoltà che c’è stata nell’eleggere il Presidente della Repubblica, è esplosa una crisi vera della democrazia istituzionale. La distanza tra i cittadini e le istituzioni e tra i cittadini e la politica è nota da tempo ma quel risultato elettorale, con un 25% di elettori che ha votato per protestare contro istituzioni che non funzionano, ha mostrato che la crisi è esplosa. La scommessa che abbiamo fatto, quando Giorgio Napolitano ha accettato di salvare la legislatura ricandidandosi alla Presidenza della Repubblica, era l’impegno di farsi carico delle riforme e, quindi, costruire una riforma costituzionale che superasse i problemi grandi che ci sono oggi in Italia sul funzionamento delle istituzioni e sul rapporto tra i cittadini e le istituzioni.
Trovo, quindi, assurda la discussione sulla democrazia. La qualità della democrazia in questo Paese la salvaguardiamo se facciamo la riforma costituzionale. Lasciare le cose come stanno non aiuta a migliorare la qualità della nostra democrazia. La Costituzione va modificata nella Seconda Parte, senza intaccarne i principi fondamentali. Per realizzare i principi che sono contenuti nella Prima Parte della Costituzione, oggi, abbiamo bisogno di strumenti nuovi, di un assetto istituzionale più moderno, rapido e coerente con i tempi che stiamo vivendo.
Per questo facciamo la riforma, non per avere meno democrazia.
Non c’è nessuna svolta autoritaria alle porte, questa è una riforma che non tocca i poteri del Governo o i poteri del Presidente del Consiglio, contrariamente alla riforma voluta da Berlusconi anni fa.
La riforma che voleva fare Berlusconi, infatti, avrebbe istituito una sorta di premierato, dando al Presidente del Consiglio anche la possibilità di sciogliere le Camere.
Nella riforma attuale non c’è nulla di tutto ciò ma, anzi, sono contenute molte cose che in tanti chiedevano da tempo. Innanzitutto vi è la necessità di superare il bicameralismo perfetto, anche perché l’Italia è il Paese che ha più parlamentari al mondo, perché qui ogni legge per essere approvata deve essere votata nello stesso identico modo dai due rami del Parlamento e in questo ci si impiega molto tempo (per approvare il Collegato Ambientale, in questa legislatura, ci abbiamo impiegato due anni e mezzo; il Collegato Agricolo approvato di recente era stato presentato con il Governo Letta, quindi, quasi tre anni fa). È evidente che così il Paese non può funzionare.
C’è da intervenire sul processo legislativo. Con la riforma le leggi le approverà solo la Camera dei Deputati, che sarà anche l’unica istituzione che voterà la fiducia al Governo.
Ci sarà un Senato delle Autonomie, rappresentato da 100 persone (consiglieri regionali, 20 sindaci e 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica che restano in carica solo per un settennato) che svolgerà un ruolo di riequilibrio in alcuni passaggi istituzionali importanti (elezione della Corte Costituzionale, elezione del Presidente della Repubblica) e che dovrà affrontare tutti i temi che riguardano le autonomie.
Ci sono poi alcuni aspetti che riguardano il processo legislativo.
In questa legislatura abbiamo votato la fiducia al Governo moltissime volte e sono stati fatti moltissimi decreti perché, di fronte alla necessità di governare dando risposte immediate, non abbiamo altri strumenti. Questo modo di agire, però, ha snaturato la funzione del Parlamento. I decreti legge devono restare per interventi chiaramente urgenti, per questo con la riforma è prevista la creazione di un canale preferenziale che garantisca un’approvazione in tempi certi a delle leggi del Governo che devono essere approvate in fretta.
C’è poi anche un tema che riguarda la partecipazione che viene rafforzata da questa riforma. È previsto, infatti, un quorum basato sugli elettori che hanno votato la volta precedente per i referendum richiesti con un milione di firme, quindi, i referendum conteranno di più e nessuno potrà più fidarsi del tentativo di far mancare il quorum.
Con la riforma, inoltre, viene introdotto il referendum propositivo.
Si introducono tempi certi anche rispetto alla discussione delle leggi di iniziativa popolare. Oggi quelle discusse sono pochissime e quelle approvate ancora meno e sono state approvate solo perché vi erano anche dei disegni di legge parlamentari che trattavano la stessa materia.
Sulla questione delle Regioni, con la riforma si tolgono le materie concorrenti.
Su molte questiono in ogni Regione ci sono leggi diverse e questo genera problemi anche alla nostra economia. Non è vero che vengono indebolite le Regioni perché si possono attribuire loro anche altre competenze rispetto a quelle previste con la scelta dell’autonomia rafforzata.
La riforma, quindi, è saggia da questo punto di vista.
Ci sono fattori che hanno creato la crisi della nostra democrazia e ci sono delle ragioni per cui le istituzioni non rispondono più alle esigenze dei cittadini nei tempi dovuti. Innanzitutto, va segnalato che si sono ridotti gli strumenti di partecipazione dei cittadini e la politica costa tanto.
Questa riforma serve anche perché riduce i costi della politica, tagliando il numero dei parlamentari e, quindi, avendo meno stipendi da pagare. Nel testo ci sono anche dei vincoli imposti alle Regioni in base a cui i consiglieri regionali non potranno avere uno stipendio più alto rispetto a quello del sindaco della città capoluogo.
Questo è un passo avanti rispetto a ciò che è stato fino ad ora.
Con la riforma si fa tutto questo e si interviene, quindi, su ciò che ha mandato in crisi la democrazia.
Chi vota sì vota tutto questo.

Video dell’intervento»

Per chiarire ulteriormente il quadro, vorrei sottolineare due questioni.
Innanzitutto, all’inizio della legislatura, si è cercato di fare le riforme costituzionali modificando le norme stabilite in Costituzione predisposte a questo, nel tentativo di abbreviare il percorso.
Quel percorso fu poi abbandonato e questa riforma costituzionale, invece, è stata fatta come è stabilito dalla Costituzione. Le due Camere del Parlamento hanno votato per tre volte ciascuna il testo e c’è stata una discussione molto ampia.
Ricordo che la discussione sulla riforma costituzionale è nata nel 2014 con una proposta del Governo e su cui l’80% del Parlamento si è messo a lavorare.
L’impostazione di lavoro che era contenuta in quella prima proposta ha segnato anche il resto del percorso che si è intrapreso. Con l’elezione di Mattarella a Presidente della Repubblica, il centrodestra ha ritenuto di tirarsi fuori perché legava la collaborazione alle riforme alla possibilità di esprimere il Presidente.
Nonostante questo, durante il lavoro parlamentare, sono state apportate molte modifiche. Tra queste vi è la composizione del Senato. La proposta iniziale su questo punto era molto diversa da ciò che oggi è contenuto nel testo. La proposta di Renzi era per un Senato formato dai sindaci. Dopo si è ragionato sui rappresentanti delle Regioni e si pensava di metterne in egual numero per ogni Regione, indipendentemente dalle dimensioni e dagli abitanti. Infine, si è arrivati alla proposta attuale.
Un’altra discussione è stata quella sui senatori a vita.
L’ultima discussione è stata sul come coinvolgere gli elettori nella scelta dei rappresentanti dei Consigli Regionali in Senato.
A mio avviso abbiamo fatto la scelta giusta nel sostenere che i senatori, se vogliono rappresentare le Regioni, devono essere rappresentativi e, quindi, scelti tra i consiglieri regionali, che vengono eletti dai cittadini.
Infine, si è fatto un ulteriore passo avanti, sostenendo che le due Camere, dopo aver approvato la Riforma Costituzionale, dovranno fare una legge affinché i cittadini, quando vanno alle urne, possano indicare quali sono i consiglieri che vogliono eleggere anche al Senato.
Questo meccanismo garantisce che ci sia una rappresentanza delle Regioni insita nei Consigli Regionali ma anche uno strumento per i cittadini per indicare queste figure.
Probabilmente non è una riforma perfetta ma è buona riforma. Credo anche che, se ad un certo punto non fossero subentrate altre dinamiche, sarebbe stata approvata da una parte molto più ampia del Parlamento.
Sulla questione del federalismo, più volte è stato detto che si riduceva il potere delle Regioni ma abbiamo introdotto la possibilità dell’autonomia rafforzata che consente una fase dinamica nel senso che Stato e Regioni possono concordare sull’acquisizione di ulteriori competenze su una materia da parte delle Regioni.
Questo è il lavoro che è stato fatto e che va valorizzato.
Chi dice no per voler fare presto un’altra riforma, intanto non dice come vorrebbe farla ma, comunque, i tempi sarebbero lunghi perché occorre uno sforzo parlamentare molto forte. Le scorciatoie tentate in passato, come si è visto, non hanno funzionato.
Video dell’intervento»

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