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Angela, insegnante per passione

Written by Roberto Pecoraro.

Roberto PecoraroAngela Molfena insegnava Italiano e Latino al liceo Plutarco.
Marta e Luisa adoravano trascorrere le serate di primavera a parlare di libri: si incontravano alle terrazze di Via Dionisio il grande, la panchina a strapiombo sul mare era il “loro posto”.
La visuale era stupenda, guardavano la linea dell’orizzonte illuminata dai colori dell’ultimo sole che tramontava alle loro spalle. Gli occhi delle due ragazze lucevano di speranze e sogni. Era un appuntamento fisso, prima di cena (in Sicilia si cena dopo le 21). Respiravano quell’aria meravigliosa che solo a Siracusa, in serate come quelle, si riesce a sentire.
Nello stesso istante Luca e Stefano stavano rollando una canna, seduti sugli scogli dietro il parcheggio Talete. Di fronte, sullo specchio d’acqua del porto piccolo, luccicavano gli ultimi riflessi del tramonto. Loro, però, parlavano del nuovo modello di scarpe acquistato, si guardavano i piedi. Anche Luca e Stefano avevano un appuntamento fisso prima di cena: la cannetta serale.
I quattro ragazzi frequentavano la quinta B del liceo Plutarco, Angela Molfena era la loro insegnante di Italiano e Latino.
speranza Guardava quell’immensa città di luci, ciminiere, vapore, rumore: le tornavano alla mente le suggestioni di “Blade Runner”.
Aveva scelto di fare l’insegnante per passione, credeva di potere contribuire a cambiare il mondo: dal basso. Con la sua voglia, le sue speranze, quella luce nei suoi occhi di ragazza, voleva scuoterne le fondamenta. I primi anni di insegnamento li aveva fatti in Sardegna; periodo difficile dal punto di vista personale ma ricco di stimoli ed entusiasmo per avere conquistato il ruolo che sognava da una vita.
Finalmente era un’insegnante: aveva il dovere e la responsabilità di formare le generazioni del futuro, la classe dirigente, come si suol dire.
Preparava con cura maniacale le lezioni, le provava davanti lo specchio, studiava la mimica da usare, il tono della voce: vedeva accendersi la luce in fondo ai suoi occhi quando parlava di Pirandello o di Italo Svevo. Desiderava con tutta sé stessa trasferire quella luce, quei tizzoni ardenti, ai suoi allievi. Sapeva che doveva farlo, che poteva farlo, che ce l’avrebbe fatta. Nessuno studente avrebbe potuto resistere a quell’energia, a quella passione, senza esserne contagiato!
Luca stava dormendo, sognava di essere in mezzo al mare su una barca a remi, circondata dalla nebbia. Una voce potente, all’orizzonte, gli chiedeva di scrivere il suo nome sull’acqua. Provava a farlo con la punta del remo, ma non sapeva più scrivere. Dagli abissi emergeva Stefano, sembrava una sirena a due code. Luca si sentiva sollevato, il suo compagno di “canna” dei tempi del liceo l’avrebbe senz’altro aiutato. Stefano riusciva a scrivere sulla superficie dell’acqua il nome di Luca, ma le onde cancellavano immediatamente tutto.
Bussarono con violenza alla porta, erano le 5 del mattino, si svegliò di soprassalto, il brutto sogno si tramutò immediatamente in un incubo reale: Luca fu arrestato!
La mattina del processo, riconobbe in aula Luisa, la compagna di classe del liceo. Era il giudice che, dopo qualche mese, l’avrebbe condannato a 15 anni di carcere.
Angela si alzò presto quella mattina, doveva accompagnare Alice, sua figlia, all’aeroporto: partiva per l’Erasmus. Vide il telegiornale della TV locale, riconobbe i suoi ex alunni Luca e Luisa, corse in bagno. Tra le rughe dei suoi occhi, in mezzo a quel mare di luce ancora viva, scese una lacrima. Il sapore di salato le ricordò le serate trascorse a guardare il mare di Sardegna, la salsedine sul viso, i suoi pensieri di allora, le sue speranze in parte tradite!

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