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Riforme istituzionali, governo e congresso

Written by Franco Mirabelli.

Franco MirabelliUn conto è ragionare sulle misure e sulle proposte che mettiamo in campo e un altro conto è guardarci in faccia e dirci oggi qual è la situazione in cui proviamo a fare le cose.
Alla Camera e al Senato si sono votate le risoluzioni che avviano il percorso delle riforme istituzionali, venerdì mattina si è votata la legge costitutiva del “comitato dei saggi” e, quindi, si è avviato il percorso parlamentare.
Questo percorso lo dobbiamo inquadrare perché non può essere isolato dal resto.
Faccio due premesse.
La prima è che credo che su questo tema ci sia bisogno di cominciare ad affermare un principio, cioè che noi dobbiamo discutere e affrontare queste questioni decisive per il futuro del Paese pensando al Paese e parlando al Paese. Dobbiamo assumerci tutti questo impegno.
Se pensiamo di affrontare la questione delle riforme istituzionali cercando di farne, di volta in volta, lo spunto per distinguersi, piegando il tema ad una discussione tutta interna o autoreferenziale facciamo un grandissimo errore.
In generale, secondo me, il congresso deve parlare al Paese e del Paese, però, sento il rischio serio – le vicende di questi giorni lo dimostrano, così come la lettura che è stata data anche da una parte di noi di sospendere i lavori per far riunire i gruppi per tre ore di fronte ad una richiesta che era di fermarsi per tre giorni, la vicenda della proposta di legge di Mucchetti sull’incompatibilità per il ruolo di parlamentare che è stata presentata tre mesi fa ed è stata sparata adesso – che se noi concepiamo così il corso che abbiamo di fronte, ci facciamo del male e le riforme istituzionali non le facciamo.
La seconda questione è questa: le riforme costituzionali, a mio avviso, sono il tema centrale, la ragione fondamentale su cui noi oggi siamo impegnati; sono una necessità democratica. Credo che il richiamo fatto da Napolitano alle Camere, la frustata che ha dato al Parlamento quando è stato rieletto Presidente della Repubblica, oggi sia un po’ derubricata. Questa discussione viene sottovalutata nel Paese, anche nelle nostre sedi se ne discute troppo poco. Però, il messaggio che bisogna dare è che, senza le riforme, quella sfiducia - che nel nostro Paese si è tradotta ormai in uno scollamento profondo tra i cittadini e le istituzioni - rischia di non trovare soluzioni. Se non facciamo le riforme costituzionali e torniamo a votare (anche con un’altra legge elettorale), non avremo più credibilità. Non solo il PD ma il sistema politico: quel sistema politico che il PD è nato per riformare. Mi pare evidente che non ci siamo ancora riusciti.
Se noi abbiamo perso le elezioni – oltre ad aver sbagliato la campagna elettorale, aver detto di “smacchiare il giaguaro” e qualcuno è stato un po’ troppo conservatore – è perché i cittadini italiani che sono andati a votare hanno detto “basta: questo sistema va radicalmente cambiato”. O noi in questa legislatura, per quanto durerà, diamo l’idea che si cambia davvero e che il messaggio è stato ricevuto, altrimenti temo che si configuri una vera emergenza democratica. È vero che questa, comunque, non è l’unica ragione per cui abbiamo dato vita a questo governo. L’altra ragione è quella di intervenire sulle questioni sociali.
Questo governo, in quattro mesi, ha messo in campo misure senza soldi, misure anticicliche che possono far ripartire alcuni settori. Non bisogna banalizzare tutto questo. Bisogna pensare ad un’alternativa.
Questo governo, con le compatibilità di bilancio che ha, sta facendo delle cose, poi non mancano gli errori, ci sono anche delle difficoltà.
Il decreto sugli ecobonus e le ristrutturazioni, il decreto del fare, le misure sul lavoro, i quaranta miliardi dati alle imprese sono tutte cose che possono dare un piccolo contributo e credo che non dobbiamo essere noi i primi a dire che non ci sono ma, anzi, siccome questo è il nostro governo dobbiamo dire che queste cose le abbiamo fatte.
Sulle riforme istituzionali, abbiamo bisogno di dare il senso che davvero ci si assume una responsabilità nazionale, sapendo che se si va al voto così, senza fare le riforme istituzionali e senza avere sistemato qualche questione economica e sociale, non è che i cittadini non votano più Berlusconi ma semplicemente non votano più e, soprattutto, non votano più il PD. L’idea per cui noi di questo governo possiamo parlarne liberamente pensando che se ne parliamo male chissà quali benefici riusciamo ad ottenere è, quindi, discutibile. Questo ragionamento lo ha fatto Berlusconi con il governo Monti ma questo non è il governo Monti: questo è un governo politico, il cui Presidente del Consiglio è il nostro Vicesegretario. Bisogna ragionare con attenzione su queste questioni.
Rispetto a questo tema, ciascuno si deve assumere le proprie responsabilità. Se qualcuno tra noi pensa che questo governo non vada bene, lo dica e si apra una discussione ma l’idea che possiamo andare avanti con incursioni continue che partono da problemi per lanciare messaggi spesso populistici alla nostra base credo che sia dannosa.
Per fare un congresso bene, bisogna che su queste cose ci chiariamo. Non è pensabile di andare avanti in questo modo e questo è il senso della lettera che abbiamo scritto in settanta senatori la scorsa settimana perché questo è il nostro governo e sta facendo anche delle cose positive e credo che noi lo dobbiamo rivendicare.
Tornando al tema delle riforme istituzionali, per ciò che concerne la legge elettorale, al Senato abbiamo già votato la legge costitutiva della Commissione. In quella discussione, il PD ha già detto – attraverso i capigruppo e tanti interventi – che la questione della legge elettorale, di regola, si pone alla fine di questo percorso ma che comunque siamo pronti ad intervenire urgentemente, in modo che nessuno possa pensare di prolungare la legislatura ricattando o vincolandola alla legge elettorale.
Se non si faranno le altre riforme, la legge elettorale dovrà essere fatta subito e, nel momento in cui si andrà a votare, la si utilizzerà.
Quale legge elettorale?
Personalmente, temo molto l’ipotesi di mettere le mani al “Porcellum”: questa idea di aggiungere le preferenze, mettere lo stesso premio di maggioranza a Camera e Senato (a parte che sarebbe di dubbia costituzionalità) ecc. non mi pare la soluzione. Tra l’altro, guardando ai dati elettorali, anche con queste modifiche si sarebbe riprodotta la stessa situazione di ingovernabilità.
Un’ipotesi di emergenza potrebbe essere quella di abrogare il “Porcellum” riattivando una delle leggi elettorali precedenti, quale potrebbe essere il “Mattarellum” (anche se non risolve il problema della governabilità, però risolviamo altri problemi come il premio di maggioranza troppo alto e dell’uninominale).
Sul resto, dobbiamo fare una discussione in cui il PD dica chiaramente qual è la forma di governo che propone e dobbiamo farla al congresso. Ha fatto bene Epifani a lanciare un seminario su questo, rivolto ai gruppi dirigenti, per cominciare a ragionare.
Ma deve essere chiaro che questa non può essere una discussione ideologica.
Se la proposta è quella di un semipresidenzialismo alla francese dobbiamo essere nelle condizioni di costruire un quadro istituzionale di pesi e contrappesi che garantisca la democrazia e un sistema di partecipazione e di efficienza.
Questo non è un tema secondario: noi dobbiamo riuscire ad aprire la discussione sulle riforme costituzionali, perché se questa discussione viene tradotta con “gli amici di Berlusconi che vogliono fare il presidenzialismo contro i nemici di Berlusconi che sono democratici” non funziona.
Personalmente, credo che ci voglia una via di mezzo tra un’elezione del Presidente della Repubblica in cui il messaggio che ci arrivava dai giornali e dalla rete mentre stavamo votando era “vogliamo decidere noi chi sarà il Presidente della Repubblica” e adesso che si propone davvero che lo decidano la risposta sia “no, siete antidemocratici”.
Sul bicameralismo, credo che ci sia intanto la necessità di modificare i regolamenti parlamentari perché la riproposizione di decreti e le doppie letture richiedono una riforma dei regolamenti parlamentari. Dopodiché, il PD ha una proposta che è quella del Senato delle Regioni (si tratta di decidere se eletto direttamente dai cittadini o nominato in seconda istanza dalle Regioni) però questo implica il distinguere i ruoli e le funzioni e di attribuire solo alla Camera la possibilità di dare la fiducia al governo: questo semplifica il sistema e lo rende anche più efficiente, dentro ad un meccanismo in cui una norma come quella dell’abolizione delle Province recupera un senso.
L’abolizione delle Province è stata impugnata e bocciata perché fatta per decreto ma se ci fosse stata avremmo avuto un drammatico problema di come organizzare il sistema delle autonomie locali e come ridistribuire le competenze e i ruoli delle Province. L’ansia della Spending Rewiew non aveva consentito questo, oggi c’è l’occasione di farla dentro ad un meccanismo in cui si ragioni anche sulle Regioni in modo diverso.
Poi c’è tutto il tema dei costi della politica.
Personalmente, sul tema dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti penso che se dobbiamo ritornare a parlare ai cittadini italiani non possiamo prendere una posizione diversa. Dobbiamo mettere in campo una serie di norme – così come ha cercato di fare il governo – che sollecitano l’intervento privato, aiutano chi vuole sottoscrivere, definiscono un accesso ai servizi più semplice. Personalmente, penso che il tema del congresso non possano essere le regole e non possa neanche essere solo l’organizzazione del Partito Democratico. Penso che questa cosa venga dopo.
La discussione che sto vedendo e la situazione che c’è dentro al centrosinistra (non solo dentro al PD) in questi mesi, dalla vicenda dell’elezione del Presidente della Repubblica in poi, impone una discussione in cui si facciano scelte chiare: non ci sono più spazi per posizioni divaricate.
Se noi siamo il partito di quelli che sono contro Berlusconi è una cosa, se siamo il partito che vuole recuperare il progetto del PD, costruire un progetto per l’Italia, riformare le istituzioni è un’altra cosa. Oggi su questo terreno non c’è la chiarezza che ci deve essere perché le tentazioni di dare un colpo al cerchio e uno alla botte per acquisire qualche consenso in più sono troppo forti ma in tutto questo perde il partito. Se, sulle singole questioni, non riusciamo a dire con chiarezza “il Partito Democratico, a maggioranza, pensa questo” e “questa è la posizione del Partito Democratico” penso che non riusciremo a fare ciò che dovremmo nelle riforme istituzionali, nelle riforme del sistema politico e ad essere credibili per un progetto per l’Italia.
Siccome penso che il PD sia l’unica possibilità per questo Paese, abbiamo il dovere di fare un congresso in cui decidiamo e decidiamo se siamo una forza riformista o una forza antiberlusconiana e deve essere chiaro perché, se vi guardate intorno, il tema della contrarietà al governo delle larghe intese (mai esplicitato) non perché non si riescano a fare delle cose ma perché c’è Berlusconi è un tema che denota che questo problema non è sciolto, soprattutto tra quelli che sono più vicini a noi, mentre invece tra l’elettorato diffuso c’è una maggior disponibilità e un maggior riconoscimento del lavoro che stiamo facendo e della responsabilità che stiamo mettendo in campo.
Questa diventa, quindi, una questione decisiva.

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