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L’Europa a un bivio

Written by Patrizia Toia.

Patrizia ToiaL’Europa è a un bivio. Lo abbiamo detto tante volte, ma stavolta è veramente così e al Consiglio europeo che si terrà il 18 e 19 febbraio a Bruxelles la scelta è molto stringente.
Bisognerà decidere se annacquare (col rischio concreto di affondarlo) il progetto europeo o avere il coraggio di rilanciare.
In gioco ci sono infatti due pilastri fondamentali della costruzione europea: la libera circolazione di Schengen e la prospettiva di una maggiore (indispensabile) integrazione.
Su entrambe le questioni rimandare non è più possibile e non è possibile neppure dare risposte ambigue o contraddittorie perché poi la storia presenterà conti salati.
Primo punto: i capi di Stato e di Governo dovranno approvare le proposte della Commissione per costituire una guardia di frontiera europea e tutte le norme che rendano possibili gli accordi con i Paesi terzi per gestire i rimpatri a livello comunitario.
A maggio scade la sospensione temporanea degli accordi di Schengen per Germania e Austria e a gennaio i ministri dell’Interno europei hanno chiesto l’avvio delle procedure per l’attivazione dell’articolo 26 del regolamento Schengen, cioè la possibilità di estendere questa sospensione fino a due anni. Ciò significherebbe la fine della libera circolazione, con tutte le conseguenze politiche ed economiche del caso e col rischio reale che la caduta di un pilastro dell’Ue provochi altre cadute, altre fatali disgregazioni. Secondo punto: Il 18 e il 19 febbraio i leader dell’Ue dovranno siglare un accordo con la Gran Bretagna per permettere a David Cameron di vincere il referendum sulla Brexit ed evitare l’uscita dall’Ue del Regno Unito. Per noi è impensabile un’Unione europea senza Londra, ma allo stesso tempo dobbiamo stare attenti, nell’aprire alle concessioni che Londra chiede, a non intaccare irrimediabilmente la sostanza e la qualità essenziale dell’Europa, buttando così a mare conquiste e diritti, oltre a provocare fenomeni imitativi in altri Paesi. Meglio perciò dare qualche apertura come eccezione che piegarsi e prospettare una Europa che devia dalla strada indispensabile di una più forte integrazione. Gli Stati membri che lo vogliono devono poter continuare nel percorso di “una sempre maggiore integrazione” e i cittadini europei devono poter continuare liberamente a spostarsi e a cercare lavoro negli altri Paesi, accedendo anche al welfare. Dovremo approfittare di questo negoziato per discutere anche del futuro dell’Europa, spiegando bene che Europa più integrata non significa un’Europa più invasiva e oppressiva con regole per ogni realtà, che maggiore sovranità europea va di pari passo con maggiore sussidiarietà e rilancio anche delle responsabilità nazionali e locali. Sì, dunque, al coinvolgimento dei parlamenti nazionali, ma No a nuovi poteri di veto che blocchino l’Ue. In un passaggio così delicato non si può essere semplicistici o miopi, e bisogna essere molto lungimiranti. Se oggi Cameron si trova in questa situazione difficile è perché non ha resistito alla tentazione di inseguire gli euroscettici promettendo il referendum.
Non ripetiamo anche noi il suo errore.
Insomma a questo summit i nodi verranno al pettine, ma sgombriamo il campo da un equivoco: il 18 e il 19 febbraio a riunirsi non è “l’Europa”, sono i Governi dei 28 Stati membri dell’Ue che, per quanto importanti, sono una delle istituzioni dell’Europa.
L’altra parte è il Parlamento europeo, eletto direttamente dai cittadini, e la Commissione.
E questa parte, il Parlamento, nella sua stragrande maggioranza la scelta l’ha già fatta: è l’Europa!

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