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Nimby e Pimby

Written by Roberto Pecoraro.

Roberto PecoraroNimby e Pimby potrebbero essere due supereroi dei cartoni animati, in continua lotta tra loro; purtroppo non è così!
Con NIMBY (acronimo inglese per Not In My Back Yard, letteralmente "Non nel mio cortile") viene indicato un atteggiamento, che si riscontra nelle proteste contro opere di interesse pubblico o non, che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi sui territori in cui verranno costruite, come, ad esempio, grandi vie di comunicazione, cave, insediamenti industriali, termovalorizzatori, discariche, depositi di sostanze pericolose, centrali elettriche e simili.
In molti casi le opere vengono riconosciute come necessarie, o comunque possibili, ma, contemporaneamente, non si vuole vengano realizzati nel proprio territorio.
Nel nostro paese il tema è trattato dal Nimby Forum® (www.pimby.eu), un progetto di ricerca sul fenomeno delle contestazioni territoriali ambientali.
L’associazione Pimby (www.pimby.eu) si propone, invece, di agevolare il superamento della sindrome Nimby, promuovendo la cultura del “Si, a certe condizioni”.

Il tema è particolarmente complesso ed interessa almeno tre ambiti: la politica, la scienza e la comunicazione. Comunicare in maniera semplice ed intuitiva le ragioni politiche e tecnico/scientifiche alla base di una data opera è, probabilmente, una delle chiavi di lettura di successi ed insuccessi in questo ambito.
Il politico, pur comprendendo il carattere strategico e l’utilità di una certa opera, non è tenuto a conoscere i dettagli degli aspetti tecnici e delle interferenze con l’ambiente in cui l’opera verrà inserita; di contro, il tecnico spesso scarseggia negli aspetti comunicativi oppure non viene evidenziata, da parte della politica, la necessità di sfruttare tutti gli strumenti di comunicazione scientifica per informare le popolazioni interessate.

Einstein diceva “Non hai veramente capito qualcosa fino a quando non sei in grado di spiegarlo a tua nonna”.
Sta proprio qui, probabilmente, il senso e la strada per mitigare gli effetti della sindrome Nimby.
Sui temi ambientali occorre infatti partire dalla conoscenza tecnica delle questioni, per evitare il rischio di cadere nel facile allarmismo o nella propaganda.

Esaminiamo, innanzitutto, i dati, relativi al 2013, divulgati dall’osservatorio Nimby nel 2014. Nei prossimi mesi saranno disponibili i dati del 2014.
Con 213 opere contestate (63,4% del totale), il comparto elettrico è in testa alla classifica dei settori maggiormente colpiti dalla sindrome Nimby. Nel 2004, il dato si attestava solo sull’11,6%. Trend inverso per il settore dei rifiuti, che esprime il 25,3% degli impianti contestati (nel 2004 era al 78,8%). Da ultimo, il comparto delle infrastrutture evidenzia 32 opere contestate, raddoppiando la propria incidenza dal 4,8% del 2011 al 9,5% del 2013.
Considerando il solo settore della produzione di energia elettrica – esclusi quindi gli elettrodotti, gasdotti, ecc. – le fonti rinnovabili catalizzano, paradossalmente, le opposizioni del territorio nell’87,4% dei casi.
Si evidenzia, infatti, un forte scollamento tra il teorico sostegno alle tecnologie ‘green’, diffuso presso cittadini e opinion leader, e le reazioni ‘Nimby’ riservate a questi progetti sui territori.
La classifica degli impianti più contrastati per tipologia è guidata dalle centrali a biomasse, alimentate, quindi, da una fonte rinnovabile: con 111 strutture contestate, questa categoria supera ampiamente discariche, termovalorizzatori e impianti eolici (22 opposizioni) e le infrastrutture autostradali (19).
La preoccupazione per l’impatto ambientale non rappresenta più la prima ragione alla base delle contestazioni, con una incidenza che passa dal 37% del 2012 al 20,6% del 2013. Al primo posto, Nimby Forum® colloca, invece, i timori per la qualità della vita, con un 21%. Seguono le opposizioni per carenze procedurali e di coinvolgimento (17,5%) e la paura per la salute pubblica (14,8%).
Tra le regioni con il maggiore numero di contestazioni vi sono il Veneto (54 impianti contestati) e la Lombardia (50 impianti contestati).
Nel report Nimby Forum® manca, però, il dato relativo al numero di impianti proposti che, confrontato con quelli contestati, potrebbe dare un ordine di misura relativo al grado di intensità della sindrome Nimby nei vari territori.

Come detto prima le opere maggiormente contestate sono quelle relative al comparto elettrico. A tal proposito ritengo opportuno approfondire, nel seguito, il tema utilizzando molte delle informazioni riportate sul sito di Terna, del quale consiglio la visione.
Il fabbisogno di energia in Italia viene soddisfatto per il 54% dal comparto termoelettrico (USA 74%, media dei paesi UE del 52%, Germania 48%, Francia 24%), per il 18% dall’idroelettrico (USA 9,5%, 15% media paesi UE%, Germania 6%, Francia 19%), per il 5% dall’eolico (USA 5,%, 11% media paesi UE%, Germania 18%, Francia 6%), per l’8% da fotovoltaico (USA 1%, 8% media paesi UE%, Germania 19%, Francia 3,5%), per il 2% da geotermico (USA 0,2, 0,1% media paesi UE%, Germania 0,01%, Francia 0%) e per la restante quota del 13% dal saldo con l’estero. A livello dei paesi UE, circa il 14% dell’energia viene prodotta con il nucleare. La percentuale di nucleare negli USA è pari a circa il 9,5%, in Germania al 6,5% mentre in Francia a circa il 47%.

Provando a sintetizzare, il nostro paese non è messo poi così male, dal punto di vista del mix energetico, rispetto ai principali paesi industrializzati occidentali. Sconta soltanto un GAP legato al mancato utilizzo dell’energia nucleare che, però, come vedremo nel seguito, può essere soltanto un vantaggio in proiezione futura.

Nel 2014 il sistema nazionale di produzione di energia elettrica ha visto un ulteriore incremento della capacita installata da fonti rinnovabili (dell’ordine di circa 500 MW di fotovoltaico ed eolico).
La produzione ed immissione in rete di energia elettrica da fonti rinnovabili non programmabili (in particolare fotovoltaico ed eolico), pone, però, nuove problematiche e nuove necessità infrastrutturali per il sistema di distribuzione.
Si verificano, infatti, fenomeni, legati alla produzione da fonti rinnovabili non programmabili, di risalita dell’energia verso il sistema di trasmissione che, in condizioni di elevata produzione da generazione distribuita, transitano verso la rete alta tensione, con il rischio di congestione della stessa. In altre parole, la rete principale di trasporto dell’energia elettrica (quella ad alta tensione) si “sovraccarica” a causa dell’energia che viene immessa in rete dalle fonti rinnovabili non programmabili (eolico e fotovoltaico).
Le congestioni della rete risultano, in particolare, molto penalizzanti quando interessano le linee elettriche ad alta tensione, su cui sono direttamente inseriti esclusivamente impianti da fonte rinnovabile e non consentono, per ragioni di sicurezza di esercizio, l’immissione in rete di quote di energia rinnovabile che avrebbe potuto essere prodotta a costo pressoché nullo e che invece resta non utilizzata.
Occorre quindi, nei prossimi anni, sviluppare opportunamente il sistema elettrico nazionale e la rete per rendere possibile il pieno sfruttamento delle risorse produttive, con particolare riferimento alle energie rinnovabili non programmabili.

Altro obiettivo, tracciato a livello nazionale, è quello di sviluppare le rinnovabili fino al 35-38% al 2020, diventando la prima componente del mix di generazione elettrica in Italia, al pari del gas. Importanti passi in avanti sono già stati compiuti negli ultimi anni, relativamente al mix energetico italiano, che, nel 2000, era composto da: 32% petrolio, 10% carbone, 19% rinnovabili, 38% gas. Nel 2010 invece: 4% petrolio, 16% carbone, 27% rinnovabili, 51% gas.

L’evoluzione delle politiche europee in materia di CO2 e le politiche energetiche di fuoriuscita dal nucleare intraprese o delineate da diversi Paesi Europei (tra i quali Germania e Svizzera), potrebbero portare ad un allineamento tra i prezzi dell’energia prodotta in Italia con quelli europei. Conseguentemente si potrebbe sviluppare la vendita verso l’estero dell’energia prodotta in Italia.

L’installazione di ulteriori impianti di produzione di energia, soprattutto rinnovabile, insieme alle modifiche sulla rete di distribuzione nazionale, potrebbe davvero portare il nostro paese a diventare un esportatore stabile di energia verso l’estero, senza dover scontare, a differenza di altri paesi occidentali, la gestione delle dismissioni di impianti di produzione di energia nucleare.
Da tenere in conto le potenzialità, nella strategia energetica nazionale, di alcuni rigassificatori che potrebbero consentire di acquistare il gas sul mercato quando i prezzi fossero inferiori a quelli del gas che viene ricevuto, tramite tubazioni, dall’estero.

Altra tipologia di opere interessate dalla sindrome Nimby sono quelle relative alla gestione dei rifiuti. Anche qui, con l’aiuto del report ISPRA relativo ai rifiuti urbani del 2015 (dati 2014), proviamo ad approfondire la questione. A livello nazionale la produzione di rifiuti urbani pro capite è pari a 491 Kg per abitante per anno (481 media paesi UE, 617 Germania, 530 Francia), di cui il 38 % va in discarica (31% media paesi UE, 0% Germania, 28% Francia), il 21% ad incenerimento/termovalorizzazione (26% media paesi UE, 35% Germania, 34% Francia), il 26% a riciclaggio (28% media paesi UE, 47% Germania, 21% Francia), il 15% a compostaggio (15% media paesi UE, 17% Germania, 17% Francia).
E’ evidente, in confronto con i nostri competitor europei, che dobbiamo ridurre l’utilizzo del conferimento in discarica, aumentare la raccolta differenziata ed il recupero di materia, massimizzando il recupero energetico con la termovalorizzazione delle frazioni non recuperabili. L’energia da termovalorizzazione non sarà rinnovabile ma è di certo “rinnovata”, dal momento che, nella gran parte dei casi, queste frazioni attualmente vanno in discarica, come lascito ai posteri!

A fronte di una percentuale media di raccolta differenziata, a livello nazionale, pari al 45,2% (era il 35,3% nel 2010), si evidenzia una situazione differente nelle diverse aree geografiche. Le regioni del Nord Italia hanno una percentuale media di raccolta differenziata del 56,7% (49,1% nel 2010), quelle del Centro Italia del 40,8% (27,1 nel 2010), le regioni del sud, isole comprese, si attestano infine al 31,3% (21,2% nel 2010).
E’ interessante, sulla base dei dati sopra indicati, fare un confronto tra gli incrementi nella raccolta differenziata tra il 2010 ed il 2014 nelle tre aree geografiche. Il nord cresce tra il 2010 ed il 2014 del 15%, il centro del 50 %, il Sud del 47%.
Siamo, in ogni caso, ben lontani dall’obiettivo, riportato all’art. 205 del D.lgs. 152/2006 del 65%, da raggiungere entro il 31/12/2012 (al momento raggiunto solo da Trentino Alto Adige e Veneto).
I dati regionali sui rifiuti urbani smaltiti in discarica sono variegati, si va da un massimo dell’84% (Sicilia) a valori minimi del 7% (Lombardia) e 6% (Friuli Venezia Giulia).

Gli impianti di incenerimento/termovalorizzazione dei rifiuti, sul territorio nazionale, trattano invece annualmente circa 6,3 milioni di tonnellate di rifiuti (4,5 milioni di tonnellate al Nord, 0,6 milioni di tonnellate al Centro, 1,1 milioni di tonnellate al Sud), recuperando energia termica per un totale annuo di circa 1,5 milioni di MWh (tutti negli impianti del Nord) ed energia elettrica per un totale di circa 4,5 milioni di MWh (3,1 milioni di MWh al Nord, 0,45 milioni di MWh al Centro, 0,95 al Sud).
Il quantitativo di energia elettrica prodotta dall’incenerimento dei rifiuti è in grado di coprire il fabbisogno annuo di energia di circa 3,9 milioni di persone (consumo annuo medio pro capite circa 1.185 Kwh, dati Istat), mentre l’energia termica prodotta dall’incenerimento dei rifiuti è in grado di soddisfare il fabbisogno energetico per riscaldamento di circa 105.000 famiglie.

In conclusione, mentre i due supereroi Nimby e Pimby continuano le loro epiche battaglie, noi abbiamo capito: che l’Italia non è messa poi così male rispetto agli altri paesi europei sui temi dell’energia, che abbiamo un gestore molto attento e consapevole, che bisogna investire, contemporaneamente, sulle infrastrutture elettriche (adeguare il sistema elettrico rispetto ai rischi di congestione) e sviluppare le nuove installazioni, prevalentemente di rinnovabili, per far fronte alle nuove sfide europee che potrebbero vederci, in un prossimo futuro, protagonisti nell’esportazione di energia, prodotta sul nostro territorio.
Abbiamo anche capito che abbiamo ancora da lavorare sui rifiuti, sviluppando maggiormente politiche di riduzione della produzione, di raccolta differenziata, di riciclo e recupero della materia e che dobbiamo smetterla di sotterrare l’energia delle discariche.
Piuttosto sfruttiamo la frazione non recuperabile per produrre calore ed energia, risparmiando combustibile fossile e quindi, complessivamente, facendo qualcosa di veramente sostenibile.
Proviamo a curare la sindrome Nimby con la prevenzione e l’informazione, che è fatta innanzitutto di educazione ambientale, a partire dalle scuole, e di valorizzazione degli aspetti tecnici che, se abbinati a solide strategie di comunicazione ed a politiche consapevoli, possono essere la vera cura a questo male.
Sappiamo che ogni azione, installazione o opera dell’uomo ha inevitabilmente un impatto sull’ambiente circostante e presenta dei rischi. Tali impatti devono essere valutati esclusivamente con il ricorso agli strumenti tecnico scientifici disponibili, tenendo conto anche degli aspetti normativi e sanitari, senza preconcetti o paure. Usando questo approccio si arriva sempre ad una risposta chiara ed inequivocabile sulla sostenibilità o meno di una determinata opera.
In conclusione, cerchiamo di approcciare questi temi con un ambientalismo di sostanza, provando a guardare la luna e non il dito che la sta indicando!

Per contattare Roberto Pecoraro e seguire la sua attività: Twitter @RoPecoraro - Pagina Facebook - Sito web