Print

Non accontentatevi, puntate in alto

Written by Papa Francesco.

Articolo di Avvenire.

La seconda giornata di papa Francesco in Ungheria inizia con la visita all’Istituto Beato Laszlo Batthyany-Strattman che ospita bambini e ragazzi ciechi, ipovedenti o con gravi disabilità. E’ un momento struggente. Il direttore Gyorgy Inotay inizia con la celebre preghiera francescana per la pace. La recita in latino: «Domine, fac me servum pacis tuae… ubi desperatio, spem… ubi tristitia, laetitia». Quindi una serie di canti.
Tra i quali si riconosce anche la melodia “Vanità di vanità” resa famosa da Angelo Branduardi come colonna sonora del film di Luigi Magni dedicato a San Filippo Neri. Davvero, in questa mattinata, nell’Istituto la disperazione sembra trasformarsi in speranza, la tristezza in letizia. Non è previsto che il Papa parli. Ma Francesco, visibilmente commosso, lo fa. Il suo è un grande ringraziamento. «Grazie per la vostra accoglienza e la tenerezza. Grazie per i vostri canti, per i gesti, grazie per i vostri occhi», dice. E poi ringrazia il direttore per la preghiera francescana, che è «un programma di vita» perché sempre san Francesco «chiede la grazia che dove non c’è qualcosa, che io possa fare qualcosa». Questo è «Vangelo puro» perché «Gesù è venuto a portare la realtà com’era e portarla avanti», mentre «sarebbe stato più facile prendere le idee, le ideologie e portarle avanti senza tenere conto della realtà».
E’ una mattinata dedicata alla carità quella di Francesco. Lasciato l’Istituto Batthyány-Strattmann, il Papa si reca in auto alla chiesa di Santa Elisabetta d’Ungheria dove ha luogo l’incontro con i poveri e con i rifugiati. Al suo arrivo è accolto all’ingresso della Chiesa dal presidente di Caritas Ungheria e dal parroco, il quale gli porge la croce e l’acqua benedetta per l’aspersione. Quindi insieme percorrono la navata centrale fino ad arrivare all’altare mentre il coro intona un canto. Dopo le parole di benvenuto del presidente di Caritas Ungheria Antal Spányi, vescovo di Székesfehérvár, una famiglia greco-cattolica, una famiglia di rifugiati provenienti dall’Ucraina e un diacono e sua moglie portano la loro testimonianza. Quindi Francesco prende la parola. Ad ascoltarlo sono in 600, mentre un altro migliaio si sono raccolti sul piazzale antistante.
Il suo discorso è un inno alla carità e un ringraziamento «per il generoso servizio che la Chiesa ungherese svolge per e con i poveri». Il Papa esorta a non dimenticare mai che i poveri e i bisognosi «sono al cuore del Vangelo». I poveri e i bisognosi, insiste, «ci indicano una sfida appassionante», perché «la fede che professiamo non sia prigioniera di un culto distante dalla vita e non diventi preda di una sorta di “egoismo spirituale”, cioè di una spiritualità che mi costruisco a misura della mia tranquillità interiore e della mia soddisfazione». «Vera fede», invece, è quella «che scomoda, che rischia, che fa uscire incontro ai poveri e rende capaci di parlare con la vita il linguaggio della carità».
Linguaggio della carità che è stata la lingua parlata da santa Elisabetta, figlia di re, cresciuta nell’agiatezza di una vita di corte, ma toccata e trasformata dall’incontro con Cristo. Così «ben presto sentì un rigetto verso le ricchezze e le vanità del mondo, avvertendo il desiderio di spogliarsene e di prendersi cura di chi era nel bisogno».
Per Francesco anche oggi la testimonianza richiesta ai cristiani è «la compassione verso tutti, specialmente verso coloro che sono segnati dalla povertà, dalla malattia e dal dolore». «Compassione – rimarca – che vuol dire “patire con”». Anche oggi c’è bisogno di una Chiesa «che parli fluentemente il linguaggio della carità, idioma universale che tutti ascoltano e comprendono, anche i più lontani, anche coloro che non credono».
E a questo proposito Francesco esprime la sua «gratitudine alla Chiesa ungherese per l’impegno profuso nella carità, un impegno capillare: avete creato una rete che collega tanti operatori pastorali, tanti volontari, le Caritas parrocchiali e diocesane, ma anche gruppi di preghiera, comunità di credenti, organizzazioni appartenenti ad altre Confessioni ma unite in quella comunione ecumenica che sgorga proprio dalla carità». Con un grazie specifico «per come avete accolto – non solo con generosità ma pure con entusiasmo – tanti profughi provenienti dall’Ucraina». E con un'avvertenza importante, valido per tutta la Chiesa: «non basta dare il pane che sfama lo stomaco, c’è bisogno di nutrire il cuore delle persone! ». Perché la carità «non è una semplice assistenza materiale e sociale, ma si preoccupa della persona intera e desidera rimetterla in piedi con l’amore di Gesù: un amore che aiuta a riacquistare bellezza e dignità».
Al termine dopo la recita del Padre Nostro, la benedizione e il canto finale di un gruppo Rom, il Papa lascia la chiesa di Santa Elisabetta e si reca a visitare Comunità greco-cattolica, ultimo appuntamento della mattinata. Nel pomeriggio, alle 16.30, l’incontro con i giovani nel Papp Laszlo Budapest Sportarena.
Al suo arrivo in Nunziatura dopo la visita alla comunità greco-cattolica papa Francesco ha ricevuto il Metropolita Hilarion di Budapest e dell’Ungheria. "L’incontro, dal tono cordiale, - ha informato una nota vaticana - è durato circa 20 minuti". Si tratta, alla luce della guerra in Ucraina, di un evento importante. Non previsto ufficialmente nel programma del viaggio, ma prevedibile. Il Papa e Hilarion si conoscono da tempo. Si sono incontrati più volte quando il metropolita era il "ministro degli esteri" del patriarcato di Mosca, incarico ricoperto dal 2009 al 2022 quando è stato inopinatamente trasferito a guidare la comunità russa ortodossa di Ungheria.
Francesco è accolto dal presule incaricato per la Pastorale giovanile Ferenc Palánki, vescovo di Debrecen-Nyíregyháza. Quindi l’esecuzione di una danza tradizionale e le testimonianze di due giovani, un giovane della comunità greco-cattolica e di un’universitaria. Al Papa vengono consegnato alcuni doni tra un cui un pallone firmato dal mitico calciatore Ferenc Puskas e un “cubo magico” inventato dell’ungherese Rubik.
Poi il discorso. La fede porta «alla libertà di dare, all’entusiasmo del dono, al vincere le paure, a mettersi in gioco!». Papa Francesco parla ai giovani cattolici ungheresi. Li chiama «amici».
«Ciascuno di voi è prezioso per Gesù, e anche per me!», confida. E aggiunge rivolgendosi a ciascuno di loro: «Ricordati che nessuno può prendere il tuo posto nella storia della Chiesa e del mondo: nessuno può fare quello che solo tu puoi fare. Aiutiamoci allora a credere che siamo amati e preziosi, che siamo fatti per cose grandi. Preghiamo per questo e incoraggiamoci in questo! E ricordatevi anche di fare del bene a me con la vostra preghiera».
Il Pontefice conclude così il suo discorso ai dodicimila giovani cattolici che stipano il più grande palazzetto dello sport al coperto della capitale magiara. Il Pontefice è in forma. Più volte aggiunge a braccio parole non previste dal testo preparato. E sono quelle più applaudite. Ai giovani Francesco ricorda che «Dio non vuole condannare, ma perdona». «Dio perdona sempre», fa ripetere più volte in coro. Ai giovani ricorda che Gesù «non fa prediche, ma fa la strada insieme a ognuno di noi». Che Gesù «non abbatte i loro sogni ma li corregge sul modo di realizzarli, accetta il loro desiderio di arrivare in alto, ma insiste su una cosa, da ricordare bene: non si diventa grandi scavalcando gli altri, ma abbassandosi verso gli altri».
Gesù infatti, insiste, «è felice che raggiungiamo grandi traguardi, non ci vuole pigri e poltroni, non ci vuole zitti e timidi, ci vuole vivi, attivi, protagonisti». Gesù insomma «non svaluta mai le nostre aspettative ma, al contrario, alza l’asticella dei nostri desideri». Ma per “vincere nella vita” bisogna «puntare in alto», bisogna «investire sui grandi traguardi» e poi bisogna “allenarsi” «in dialogo con Gesù». Francesco invita tutti a partecipare alla prossima Gmg di Lisbona ed esorta a fuggire «la grande tentazione di accontentarsi di un cellulare e di qualche amico» con cui scambiare messaggi. «È una cosa, permettetemi la parola, un po’ stupida», commenta a braccio.
Il Papa invita a valorizzare il silenzio: per la preghiera per leggere un brano del Vangelo, o per prendere in mano un buon libro. «Ma il silenzio – ribadisce – non è per incollarsi ai cellulari e ai social». Perché «la vita è reale, non virtuale». «Per favore - implora - non virtualizzare la vita che è concreta!».
Francesco invita i giovani ad essere persone vere, non finte, e di non spaventarsi delle proprie miserie. E infine, ma non da ultimo, li esorta «a prendere in mano la vita per aiutare il mondo a vivere in pace». E a interrogarsi «sulla nostra gratuità, sulla nostra capacità di amare secondo Gesù, cioè di servire».
Al termine dell’incontro, dopo la recita del Padre Nostro, la benedizione e il canto finale, Francesco rientra in auto alla Nunziatura Apostolica dove lo attende il tradizionale incontro con i membri della Compagnia di Gesù presenti nel Paese. Prima però riceve per 15 minuti – «in un clima familiare» – il sindaco di Budapest (dal 2019 quando sconfisse il candidato governativo) Gergely Szilveszter Karacsony con moglie e figli.