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La vittoria di Schlein farà saltare il tappo?

Written by Pierpaolo Baretta.

Articolo di Pierpaolo Baretta pubblicato da Riformismo e solidarietà.

La vittoria di Elly Schlein sarà, per il PD, la piccola grande rivoluzione annunciata? Che conseguenze avrà per l’intero campo del centro sinistra? E, più in generale, per la politica italiana?
Per rispondere a queste domande, consegnateci dagli elettori dei gazebo, bisogna, da un lato, capire perché ha vinto lei e ha perso il favorito di commentatori e sondaggi (salvo quello di Federico Benini!).
Dall’altro, chiedersi se i circa 600mila italiani di centro sinistra che hanno votato Schlein sono una enclave o i testimonial di una domanda più generale.
Elly Schlein ha vinto perché, come ha onestamente detto Bonaccini commentando il risultato, è stata “più brava” a interpretare la domanda di cambiamento. Alla traumatica uscita di Zingaretti era apparso salvifico il rientro di Letta, pur posizionatosi coraggiosamente in un precario equilibrio tra diritti civili (sostegno immediato alla legge Zan, ma senza portare a casa né questa, né lo ius soli) e posizionamento internazionale (appoggio incondizionato all’Ucraina, compreso l’invio di armi). Questioni peraltro, entrambe e per ragioni diverse, esposte sul fronte cattolico.
Goccia dopo goccia, l’impervia conclusione del governo Draghi e, successivamente, la crisi delle alleanze; la gestione delle candidature, la debolezza della campagna elettorale; la sconfitta alle elezioni, le traumatiche dimissioni del segretario e l’avvio incerto del congresso hanno finito per colmare il vaso, provocando una reazione degli elettori del PD che in parte ha portato alla disaffezione, ma, in altra parte, alla voglia di cambiare davvero. Le primarie sono state l’occasione.
Nel risultato, certamente hanno influito l’età, il genere, la determinazione e la nettezza delle posizioni, più che il merito delle tesi avanzate.
Una sorta di freschezza che ha pagato di più della sobrietà, della pacatezza, dell’esperienza e della storia di Bonaccini. Penso, però, che abbia influito molto anche il fatto che il PD fosse all’opposizione: fare opposizione in generale, ma in particolare di fronte a una destra vera, implica un approccio netto, meno disposto ai compromessi e alle sfumature.
Questo cambio di passo doveva trovare un’interprete credibile che simbolizzasse una rottura netta col passato recente e remoto. In tal senso possiamo concludere che il campione dei votanti per Schlein sia rappresentativo di un umore profondo del paese; lo stesso che, dall’altra parte, ha premiato Giorgia Meloni: donna, giovane e determinata.
La prova dei contenuti, però, non sarà semplice. Sappiamo che conquistare il consenso popolare è un arte diversa dal gestire e dal governare. E l’essere all’opposizione, soprattutto per il Pd, che ne costituisce il partito maggiore e che ambisce a tornare al governo, dà un’agibilità che, come si è detto, va utilizzata appieno e con una buona dose di spregiudicatezza, ma non esime da responsabilità generali, soprattutto sul versante economico.
La difesa del reddito di cittadinanza, tanto più doverosa dopo “Mia”, ultima proposta del governo, non affronta la questione vera: che l’assistenza non è la soluzione al problema lavoro; la lotta alla precarietà non annulla il bisogno di flessibilità delle forme contrattuali; l’introduzione del salario minimo prescinde dalla rappresentanza; l’aumento necessario delle retribuzioni è reale in un contesto di crescita economica e non se insegue solo l’inflazione. E così via… l’elenco è lungo e ci torneremo nel merito.
La nuova segretaria ha dichiarato che intende innovare i volti e i metodi del partito. Bene. Ma il vero banco di prova sarà la capacità di cambiare l’approccio alle categorie politiche tradizionali. In verità, non è un problema solo suo, o del PD, ma di tutto il centro sinistra e di tutta la cultura democratica e progressista. Si discute molto dello schiacciamento “a sinistra” che caratterizzerebbe la sua segreteria. A questo “rischio” vengono contrapposte categorie considerate erroneamente alternative, quali “riformisti” o “moderati”.
Ma cosa si intende per sinistra, per riformismo, per moderazione, nella società post ideologica, digitale e globale? E’ una discussione irrisolta, affrontata per lo più con fatica e reticenze, impregnata ancora da stereotipi e luoghi comuni. Come quello, ancora molto gettonato giornalisticamente, per il quale gli ex diesse sarebbero di sinistra e gli ex popolari moderati; o quelli del terzo polo riformisti e quelli del PD di sinistra. Così, collocazione (destra, sinistra, centro) e politiche (radicali o moderate, massimaliste o riformiste) si sovrappongono e si confondono.
Certo, le differenze ci sono e incidono pesantemente sulle prospettive strategiche. Tant’è che su questo si sono consumate storiche scissioni. Ma a guardare i “segni dei tempi”, sembra una discussione un po’ retrò.
Il punto è che si può essere radicali e moderati al tempo stesso; si può volere lo ius soli e anche il Jobs Act; mandare armi in Ucraina ed essere pacifisti. Se parliamo, ad esempio, dei diritti civili (parità di genere, libertà sessuale) non possiamo rifarci alla storia della sinistra storica, né a quella popolare e dobbiamo riconoscere che queste sensibilità sono maturate in culture moderne ed esterne ai partiti storici; in movimenti, che hanno, poi, permeato gli stessi partiti, evolvendoli…
Se pensiamo alla lotta alle disuguaglianze e – perché no? – ad una netta critica al liberismo, la cultura cattolica ha elaborato contenuti che non esiterei definire “di sinistra”, anche se, al tempo stesso, può manifestare dei dubbi sulla legge Zan, così com’è, mentre è in prima linea sull’ecologia integrale. Ancora: un approccio “migliorista” (per evocare una famosa categoria politica) alle contraddizioni economiche dello sviluppo capitalistico sarebbe meno di sinistra di uno antagonista?
E’ in questo scenario, che ha dilaniato il dibattito post elettorale e agitato le acque del congresso, che si colloca l’arrivo solo apparentemente imprevisto (“non ci hanno sentito arrivare”) di Elly Schlein.
Per storia politica (l’esordio con Obama), formazione (europea più che italiana), anagrafe (quando è nata Berlinguer era morto da un anno e Moro da molto di più) Schlein incarna il “post” di quasi tutti i suoi sponsor, avversari e commentatori. Appare più “radical” che ideologica, liberal più che laburista; giovane donna, libera e del suo tempo, certo non veterofemminista. In queste caratteristiche stanno anche le sue contraddizioni e la trappola nella quale può politicamente cacciarsi da sola. Ma queste sono anche le condizioni oggettive di novità e di rottura necessarie perché si apra una stagione di ricerca vera, sgombra da tutti i pesi del passato, di un modo nuovo di fare politica, per il quale sia possibile essere radicali nei valori, riformisti nei programmi e concreti nella gestione.
Gli esiti di questo processo sono tutti da vedere, non sappiamo ancora se Schlein lo guiderà, lo sterilizzerà o ne sarà travolta. Se altri coglieranno l’occasione che questa rottura consente… Si vedrà. Ma resta il fatto che il tappo è saltato e, come si dice… è difficile rimettere il dentifricio nel tubetto.