Matteo Renzi gli ha dato un compito piuttosto difficile: ridare ossigeno al suo progetto politico e a quello del partito. Tommaso Nannicini, classe 1973 e una cattedra in Bocconi, non ha paura di citare le formule ormai lontane dei padri fondatori del Pd: Gramsci e Veltroni.

Nannicini, perché il Lingotto?

«Perché lì è iniziata la storia di un partito a vocazione maggioritaria che non si rassegna alle regole della democrazia consociativa. Quella che uno va a votare, poi si decide con chi allearsi a tavolino dopo le elezioni».

Come si fa ad avere una vocazione maggioritaria ora che tutti chiedono il ritorno al proporzionale?

«La si vive giorno per giorno. Per essere chiari: per noi il segretario del partito è colui che si candida alla guida del Paese».

Il Lingotto serve a fare la ola a Renzi?

«Tutt’altro. Sarà un momento di elaborazione collettiva. Ha presente Gramsci? Ecco, va fatta una battaglia per l’egemonia culturale».

Retrò ma ambizioso. E come si fa?

«Primo: l’Europa. Basta col manierismo, bisogna rilanciare il progetto dei padri fondatori su basi nuove. Ci vuole un nucleo duro di Paesi disposti a condividere alcune grandi scelte: immigrazione, sicurezza, difesa, politiche fiscali».

Si chiama Europa a due velocità. Ha pudore a definirla tale?

«No, purché poi non diventi Europa à la carte».

Sempre che non vinca la Le Pen.

«E se vincessero Macron e Schultz?».

Ci fa un esempio concreto di come rilanciare l’Europa?

«La discussione di questi giorni sul futuro del lavoro. Il problema non è tassare i robot, semmai Bill Gates. I capitali e l’innovazione devono muoversi, ma in un quadro di regole omogenee, per esempio con una base imponibile unica per le imprese. Sennò il modello sociale è a rischio».

Sta dicendo che ci vuole la web tax?

«Non solo. Vogliamo un’assicurazione europea contro la disoccupazione, una lotta comune alla povertà educativa, una gestione condivisa dei flussi migratori».

Una delle critiche più ricorrenti nel Pd sui mille giorni di Renzi a Palazzo Chigi è quella di aver abbandonato il partito. Come sarà il nuovo Pd senza D’Alema e Bersani?

«Non è più il tempo delle riunioni fiume in sezione in cui si partiva dalle analisi geopolitiche per finire alle buche del quartiere. La voglia di partecipazione deve essere intercettata, sulla rete e non solo».

Due errori da non ripetere dei mille giorni di Renzi (e dei suoi) a Palazzo Chigi?

«Invertire l’ordine delle priorità per realizzare le riforme: non prima il cosa e poi il perché, semmai il contrario. È l’unico modo per sperare che quelle riforme attecchiscano. Il secondo errore che non farei è quello di accontentarsi di scrivere una buona legge. Il difficile viene dopo, quando deve diventare prassi nella macchina pubblica e nella testa delle persone».

In mille giorni avete fatto molte cose, alcune giuste, altre sbagliate, ma con energia. Eppure al dunque il Paese vi ha puniti. Si è chiesto il perché?

«Abbiamo avuto una sorta di bulimia riformista. Abbiamo voluto affrontare tutte in una volta molte questioni che chiedevano risposte da molto tempo. Purtroppo il consenso oggi è una risorsa scarsa e va maneggiato con cura».

In queste ore il governo Gentiloni sta scrivendo il Documento di economia e finanza per il 2018. Il primo problema è una clausola di salvaguardia da 20 miliardi di euro. Hanno ancora senso i vincoli di Maastricht?

«Le regole sono stupide per definizione, perché tolgono discrezionalità politica, ma non stanno lì per stupidità. Esistono perché in Europa manca la fiducia, ci vogliono più politica e condivisione delle scelte. Se si raggiunge questo obiettivo, le regole diventano secondarie, e le si sottrae alla rigidità di una tecnostruttura».

Nannicini, andiamo sul concreto. Siete contrari all’aumento dell’Iva nella prossima finanziaria?

«Non è questo il momento. Occorre andare avanti con la riduzione delle tasse nei margini concessi dal percorso di consolidamento fiscale e dal recupero di base imponibile, a partire dall’Iva. Per dirla più chiaramente, deve pagare più tasse soprattutto chi oggi le evade».

Al Lingotto proporrete di abbassare l’Irpef ai più giovani. È così?

«È solo uno dei tanti temi di cui discuteremo. Io e Filippo Taddei abbiamo rielaborato una vecchia idea che propone una doppia progressività: oggi le tasse aumentano in base al reddito, ma potrebbero aumentare anche in base all’età anagrafica. Ciò non significa che i più anziani debbano pagare più di quanto non paghino oggi».

Non sembra una proposta popolare, ne è consapevole?

«Non sono d’accordo. In Italia non c’è solo un problema di equità generazionale, ma come in passato ha fatto notare Mario Draghi il nostro è l’unico Paese fra quelli industrializzati in cui i salari crescono esponenzialmente fino all’età della pensione. In tutto il resto del mondo ad un certo punto della vita lavorativa iniziano a decrescere».

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