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Riformisti, tre motivi per non temere Zingaretti

Scritto da Lorenzo Gaiani.

Lorenzo GaianiArticolo pubblicato da Libertà Eguale.

Non condivido la posizione di coloro che meditano di abbandonare il Partito Democratico a seguito della vittoria di Nicola Zingaretti.
In primo luogo perchè l'alto livello di mobilitazione dimostra che vi è ancora un popolo - gente vera, non click su piattaforme informatiche truffaldine- che vede nel PD il maggior baluardo contro la barbarie carioca, e sarebbe ingeneroso ed irrispettoso verso queste persone rispondere al loro voto con una diserzione.
In secondo luogo, se anche dietro all'originario progetto di candidatura di Zingaretti vi poteva essere un disegno, per così dire, restaurazionista, è abbastanza improbabile che persone che hanno collaborato alla stagione riformista della legislatura passata, compresa la quasi totalità dei Ministri di allora, vogliano assistere tranquillamente allo smantellamento dell'opera loro.
In ogni caso, l'unico vero tentativo restaurazionista fu quello di Bersani nei primi due anni della sua segreteria, e fallì miseramente, perchè spostare le lancette all'indietro sull'orologio della storia è un'impresa impossibile.
Si teme forse un accordo con i Cinquestelle in caso di un crollo dell'attuale Governo? A me pare che nel corso di quest'anno il solco che esisteva fra di noi e gli impiegati della Casaleggio&Associati si sia solo approfondito, e l'offensiva battuta di Grillo ("una castroneria", secondo le parole dell'insospettabile Paolo Mieli) sulla grande manifestazione milanese del 2 marzo-ad oggi, ricordiamocelo, l'unica reazione ufficiale del M5S a quell'importante evento- è lì a dimostrarlo. I Cinquestelle in quest'anno si sono fatti complici e manutengoli di tutte le scelte xenofobe e razziste di Salvini, e come lui e con lui meritano di essere giudicati politicamente. Altra cosa evidentemente sono i loro elettori, che debbono essere recuperati ad una vera proposta riformista la quale sia capace di parlare a tutto il Paese.
Temiamo forse un rientro dei fuoriusciti di LeU? Credo che nel suo pragmatismo e realismo Zingaretti sappia bene che l'immissione nel PD di un ceto politico famelico e inconcludente di "professionisti della disperazione", secondo l'icastica definizione di Bruno Trentin, non sia in alcun modo un valore aggiunto per il Partito. Altra cosa è la ricerca di alleanze possibili, come si tentò di fare anche prima delle elezioni del 2018, a condizioni chiare e nette e senza ambiguità sul profilo riformista ed europeista del PD.
No, non è questo il tempo di nuovi esperimenti (quali poi? E con quale prospettiva?) ma di rafforzamento della battaglia per la costruzione di un'alternativa al nazionalpopulismo, e se qualcuno è alla ricerca spasmodica di un nemico non ha che l'imbarazzo della scelta, perché quel nemico esiste, ma si chiama Salvini e Di Maio, Calderoli e Di Battista, Pillon e Toninelli. Avanti insieme, che la strada è lunga.
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