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Dividersi adesso sarebbe da irresponsabili

Scritto da Piero Fassino.

Piero Fassino
Intervista di Repubblica.

«Al voto questa volta dobbiamo andare superando le troppe divisioni di questi anni, ricostruendo un campo progressista largo, ma non come somma di sigle bensì riconquistando aree di società civile, quei cittadini che si sono astenuti o che hanno votato i M5S o Lega». Piero Fassino, ex ministro della Giustizia, ha in mente un nuovo format per il Pd. Anche se il primo passo, che indica nella nuova edizione del suo libro “Pd davvero” è spiegare lo tsunami della sconfitta, partendo dall’avanzata delle destre in Occidente e affrontando «la frattura sociale e la frattura democratica» che hanno allontanato tanti elettori dalla sinistra. E la consapevolezza che il voto segnala due febbri, sull’immigrazione e sulla sicurezza.
Fassino, questa è la crisi più buia della storia repubblicana?
«Sicuramente è tra le più difficili. Ci sono stati passaggi istituzionali molto bui nella nostra storia, penso al governo Tambroni, agli anni del terrorismo, all’elezione di Scalfaro mentre saltava in aria l’auto su cui viaggiava Falcone. Ciò che oggi colpisce è l’irresponsabilità di Salvini e Di Maio: prima sono andati in campagna elettorale ciascuno coltivando negli elettori l’illusione della autosufficienza, poi prigionieri dei lori veti reciproci hanno paralizzato il paese per due mesi, e infine hanno rifiutato anche l’appello alla responsabilità di Mattarella. Per la prima volta una legislatura rischia di essere conclusa prima ancora di partire».
Lei vede spiragli per fare nascere il governo di transizione?
«Mi pare che M5S e centrodestra stiano privilegiando interessi di bottega rispetto a quelli del paese. Non erano ancora terminate le consultazioni e prima delle comunicazioni del capo dello Stato, Di Maio e Salvini erano di nuovo in campagna elettorale».
Il Pd alle elezioni si prepara con lo stesso format, perdente, del 4 marzo?
«Intanto bisogna partire da un’analisi della sconfitta. Sulle politiche del 2008 abbiamo perso sei milioni di elettori e due milioni e mezzo dal 2013. Dobbiamo costruire una proposta politica che risponda alle inquietudini, alle ansie, alle domande del paese».
Cambiare passo per il Pd, significa ricostruire le alleanze con la sinistra di Bersani e Speranza?
«L’unità è certo importante e il voto ha detto quanto avventata sia stata la scissione. Mi auguro che non si prosegua sulla strada della divisione. Ma per rilanciare un campo progressista dobbiamo avere coraggio: aprire una fase nuova, che chiami a raccolta i tanti che si sono allontanati da noi, astenendosi o spostandosi sui M5S e Lega».
Poco tempo per prepararsi, si parla di voto a luglio.
«Il tempo è stretto ma anche una marcia di mille chilometri comincia con un passo».
Con Gentiloni candidato premier?
«Tutti ce lo auguriamo. Se si va al voto il Pd non potrà che indicare come suo leader di governo un uomo come Gentiloni, che gode di una stima popolare e civile che va molto al di là dei Dem. È una candidatura naturale».
E con Martina segretario?
«L’assemblea nazionale il 19 maggio deciderà. Sapendo che la nostra gente chiede unità e che con le elezioni alle porte sarebbe irresponsabile dividersi. Personalmente ritengo ci si debba unire intorno a Martina con una gestione collegiale. Dopo il voto, andremo al congresso per definire con chiarezza il nostro orizzonte e per quale Italia ci battiamo».
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