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De Iure Condendo

Scritto da Vincenzo Ortolina.

Vincenzo Ortolina La direzione Pd ha dunque approvato con solo sette astenuti un documento che tra l'altro afferma che il partito "riconosce l’esito negativo del voto, garantisce il pieno rispetto delle scelte espresse dai cittadini, e al Presidente della Repubblica il proprio apporto nell’interesse generale. Il Partito Democratico si impegnerà dall’opposizione, come forza di minoranza parlamentare, riconoscendo che ora spetta alle forze che hanno ricevuto maggior consenso l’onore e l’onere di governare il paese".
Una decisione "formale" e sostanziale, che mi pare tra l'altro abbia raccolto il 70% dei voti degli eletti, e che dovrebbe sopire le infinite polemiche interne delle ultime settimane. Invece, in un "cupio dissolvi" impressionante, c'è subito qualche dirigente o ex che, sui media, prende di fatto le distanze dal documento, piangendo la sancita impossibilità di un governo M5S-Pd.
Orbene, io, che sono ormai libero da responsabilità nel, partito, dopo essere stato membro della precedente assemblea nazionale, fui, ai tempi, un "ulivista" convinto e poi, divenuto piddino, dopo aver votato Bersani la prima volta, alle primarie dello scorso anno ho inserito una scheda bianca, per non scegliere tra i tre candidati. Favorevole a un Pd il più possibile inclusivo (avevo persino visto di buon occhio il tentativo di confronto, ai tempi, tra Bersani e Grillo, finito poi come sappiamo), avevo espresso in argomento delle critiche a Renzi, ma ho ritenuto assolutamente ingiustificata la "scissione", che ha prodotto i risultati che sappiamo: danneggiato il Pd ('ma è solo colpa sua', è, naturalmente, il refrain di LeU) e non portato esiti significativi per sé.
Di una cosa resto, comunque sia, assolutamente convinto: escludendo ovviamente, al di là delle risibili, ricorrenti polemiche su presunti accordi Renzi-Berlusconi, col Centrodestra, il No a un governo con Cinquestelle, con buona pace dei vari Franceschini, Veltroni, Zingaretti (il quale ultimo è sostenuto a Roma, se non ricordo male, da L3eU, diversamente da quanto è avvenuto in Lombardia) è sacrosanto, opportuno, 'morale', inevitabile. Se consideriamo per esempio che sino alle elezioni ritenevamo incompatibili i reciproci programmi (si pensi all'Europa, all'immigrazione -tema, quest'ultimo, sul quale Di Maio non ha profferito parole sostanzialmente diverse da Salvini-, sulla giustizia, sul sistema fiscale, eccetera). Certo, poco dopo le elezioni, il candidato presidente M5S ha furbescamente ammorbidito i toni. Ma "scripta manent", e anche i "verba" del giorno prima. La polemica delle ultime ore sopra accennata nasce dalla riapparizione in scena di Grillo, il vero capo, il quale ritorna, se mai se ne fosse discostato, sugli abituali refrains del Movimento, rievocando il referendum sull'euro. È colpa del Pd, questa l'accusa sostanziale dei citati dirigenti, o di taluno di essi, se nei Cinquestelle sta riemergendo l'anima 'populista'. Avessimo accettato il confronto (inteso peraltro come premessa per un governo insieme), li avremmo "convertiti", e portati sulle nostre posizioni, o ...quasi. Orbene: la mia idea, al riguardo, è semplice, anzi, semplicissima. Di Maio ha considerato e affermato pubblicamente come perfettamente intercambiabili il partito di Salvini (la nuova destra, in buona parte xenofoba e anti europeista così come il "neoGrillo") e il partito democratico, che è invece una formazione riformista di centrosinistra. Come può essere ció? E come possiamo noi mai fidarci di chi ha una tale visione? Via! Il Pd ha una sua dignità, che non può ...svendere. Io sono del resto convinto che il "M5S è, ontologicamente più a destra che a sinistra, per usare un termine su cui ci capiamo. E se qualcosa, nei Cinquestelle, può rievocare la parola 'sinistra', si tratta semmai, ha scritto un amico, di una sinistra "movimentista" quale quella dell'immediato primo dopoguerra, che sappiamo come si è successivamente sviluppata. Come dimenticare infine (last but not least) che la grande maggioranza della base pentastellata è contraria? Di che stiamo parlando, dunque? Allora, concludendo: non credo a un Pd capace di "redimere", stando al loro fianco, i Cinquestelle. Un Pd "redentore", cioè. Temo invece che, al di là ovviamente delle buone intenzioni di chi lo propone, una nostra adesione a un governo con M5S verrebbe percepita dalla maggioranza dell' opinione pubblica come un atto di "trasformismo".
Se infine consideriamo che la cacciata all'opposizione, per nostra responsabilità, del partito di Salvini, il vero vincitore delle elezioni a questa data (cioè dopo anche le elezioni regionali che sappiamo), certo non produrrebbe forse voglie di "camminate" su Roma, ma renderebbe impossibile, grazie anche a sollecitazioni continue al proprio elettorato frustrato, la vita del nuovo governo.
Meditiamo, gente!
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