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Una strategia chiara sul futuro del listino milanese

Scritto da Fabrizio Barini.

Fabrizio BariniDalla fusione tra le Borse di Londra e Francoforte l’occasione per rilanciare la piazza finanziaria milanese. La notizia è stata di quelle che fa scalpore, non solo tra gli addetti ai lavori. I mercati azionari di Londra e Francoforte si uniscono in matrimonio dopo 15 anni di corteggiamento. Nascerà un operatore in grado di competere con le Borse statunitensi: 26 miliardi di euro di valore azionario, 3200 società quotate, 40 miliardi di euro di scambi giornalieri, 4 miliardi di ricavi all’anno. Non c’è dubbio che un’operazione come questa sia positiva rafforzando il sistema finanziario europeo e rendendo più competitive le imprese del Vecchio Continente che potranno accedere al capitale di rischio con maggiore facilità, a costi più bassi.
Da non sottovalutare inoltre il fatto che le nostre aziende di eccellenza opteranno più facilmente per la quotazione nel Vecchio Continente piuttosto che in altri mercati come quello Nord Americano o addirittura asiatico (un caso su tutti quello di Prada).
Viene però a questo punto da domandarsi: quali saranno le ricadute per la Borsa di Milano?
Bisogna ricordare che dal giugno 2007 Piazza Affari è fusa con quella di Londra.
Allora si disse che l’operazione avrebbe rafforzato il nostro listino dandogli un respiro internazionale e consentendo importanti sinergie. Ma a distanza di quasi 10 anni il bilancio è in chiaro scuso. La capitalizzazione, ovvero la somma del valore di tutte le società quotate, della Borsa di Milano è scesa da 751 a 480 miliardi di euro, il numero di società quotate è passato da 344 a 354 mentre gli scambi medi giornalieri sono calati da 6,26 miliardi a 3,2 miliardi di euro. Nello stesso periodo è però nato il listino AIM Italia, primo perno della sinergia con Londra e che ha aperto il mercato azionario alle piccole e medie imprese come forma alternativa di finanziamento al canale bancario.
Ad oggi sono 73 le società quotate per una capitalizzazione complessiva di 2 miliardi di euro.
Un altro elemento di sinergia è stato il programma Elite, che consente alle piccole e medie imprese non quotate, di farsi conoscere dagli operatori finanziari, acquisire cultura finanziaria, cambiare i propri processi organizzativi. Un avvicinamento, insomma, al mercato dei capitali anche se non necessariamente finalizzato alla quotazione. Al programma hanno aderito sinora 320 aziende delle quali 220 del nostro Paese.
Preso atto dei risultati, come è possibile evitare che dalla fusione tra Londra e Francoforte, Milano non assuma un ruolo marginale?
La risposta è aperta ma molto dipenderà da un lato dalla capacità, da parte di tutti gli attori della filiera dei servizi finanziari italiani, di fare sistema e dall’altro di dare una nuova e forte identità al nostro listino.
Cosa che è probabilmente mancata in questi anni di matrimonio con Londra. Un’identità che potrebbe riguardare il segmento delle piccole e medie imprese legate alla moda, al food (sfruttando il volano di Expo), alla green economy, e dove la le nuove tecnologie potrebbero giocare un ruolo fondamentale (equity crowdfunding per esempio).
Per raggiungere questo risultato serve anche la consapevolezza della politica ed in particolare dell’amministrazione comunale che guiderà la città nei prossimi 5 anni. Beppe Sala si è preso un impegno importante: portare fuori Milano dall’Italia e renderla una città più internazionale e contemporanea. Una sfida che per essere vinta passa anche da una visione e una strategia chiara sul futuro del listino milanese.

Per seguire l'attività di Fabrizio Barini: Sito Web - Profilo Facebook - Twitter @FabrizioBarini

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